mercoledì 20 giugno 2012

Guida all'Investimento - Parte Terza: Azioni o bond per il lungo termine? A voi la scelta...

E così siamo alla terza parte della nostra breve guida all'investimento. (Fate clic per leggere la seconda parte della guida all'investimento nel caso ve la siate persa).

In questa parte affronteremo l'obiettivo più ostico, ovvero la costruzione di un capitale per la pensione. Saltiamo la parte di verifica di sostenibilità dell'obiettivo, abbiamo già ampiamente visto come gestirla.

Supponiamo quindi di dover investire i nostri soldi, 100 mila euro, e di risparmiare la differenza nei prossimi anni. Si tratta quindi di decidere in che modo suddividere i nostri risparmi.

In linea di massima su periodi di tempo lunghi è preferibile un investimento in larghissima parte azionario. Questo per due motivi:
  1. da un lato, storicamente, su periodi di tempo abbastanza lunghi le azioni hanno reso sempre di più delle obbligazioni;
  2. dall'altro lato c'è la teoria economica a supportarci: se, infatti, i rendimenti delle azioni fossero inferiori a quelli di titoli privi di rischio, non vi sarebbero investitori disposti a mettervi i propri soldi. Ma a quel punto vorrebbe dire che non vi sarebbero nemmeno delle aziende, in quanto il rischio di impresa non sarebbe remunerato in maniera soddisfacente. E' abbastanza intuitivo capire come questo non sia possibile nel lungo periodo, a meno che il mondo non si sposti su forme economiche alternative al capitalismo.
Tuttavia non tutti noi siamo uguali. Ci sono persone più propense al rischio e persone meno propense al rischio: ha poco senso costruire un portafoglio perfettamente efficiente dal punto di vista finanziario se poi al primo scossone dei mercati vendiamo in perdita e molliamo tutto. Per questo, in ottica previdenziale o di lunghissimo periodo, è importante capire qual è il livello di rischio tollerabile per noi.

Solitamente il livello di rischio viene misurato dalla volatilità. Ho già spiegato il concetto, a grandi linee, nel post sul rischio finanziario. Una forma che però ritengo di più immediata comprensione è quella del maximum drawdown, in Italiano del calo massimo. Se una classe di investimento ha un calo massimo del 60% significa che dal suo picco massimo al suo minimo ha perso 60 punti.

La differenza è rilevantissima dal punto di vista psicologico: sapere che un indice azionario ha una volatilità del 20% e un rendimento atteso del 5% significa che ho il 95% di probabilità di vedere una variazione tra -35% e +45% in un dato anno. Ma questi sono numeri astratti. Sapere che lo stesso indice ha avuto in passato un calo massimo del 60% significa che posso immaginare la mia reazione davanti a un calo da 100.000 euro a 40.000 di quell'indice.

Io so che prima o poi tornerà verso i 100.000 euro, perchè il suo rendimento atteso è del 5% annuo, ma sarò in grado di mantenere i nervi saldi fino a quel momento e evitare di vendere in perdita?

Questa è la valutazione più importante al momento di definire qualsiasi piano di investimento. Cerco di spiegarmi con qualche dato. Supponiamo che Marco abbia investito i suoi 100.000 euro nel mercato azionario mondiale nel 1999 (useremo l'indice MSCI ACWI, ovvero l'indice che contiene tutti i mercati mondiali). Per motivi di copyright non posso allegare direttamente il grafico, ma potete ricreaverlo direttamente voi stessi a questo indirizzo.

L'acquisto di Marco è di 947 quote a 105,59 a fine gennaio 1999. Il 31 Agosto del 2000 Marco, euforico, vede le sue quote valorizzate a 163,13, corrispondenti a oltre 154 mila euro. Non male eh? Marco non sa, però, che sta per arrivare uno dei più grossi mercati orso di tutti i tempi, con lo scoppio della bolla hi-tech.
Il primo crollo dei mercati porta il controvalore dei soldi di Marco a Marzo 2001 a 120 mila euro.
Il secondo crollo arriva a Settembre 2001 e fa sprofondare il controvalore a circa 103 mila euro. Di nuovo al punto di partenza.

Vista così sembrano movimenti di poco conto, magari... dopotutto siamo ancora in attivo. Non dimentichiamoci, però, che Marco ha perso in un anno ben 50 mila euro! Questo è il concetto, doloroso, del calo massimo! Marco è tentato di mollare tutto, ma decide di perseverare, fiducioso nella risalita dei mercati. Sfortunatamente per lui dopo una flebile ripresa dei mercati a inizio 2002, arriva la terza botta. Nel Marzo del 2003 i risparmi di Marco valgono ormai 72 mila euro. Getta la spugna, davanti a un crollo di circa la metà del valore raggiunto dal suo portafoglio al picco massimo e si posiziona sui rassicuranti Titoli di Stato, appena in tempo per perdersi il Toro che avrebbe riportato i suoi risparmi a un controvalore di 140 mila euro nel 2007. I suoi 72 mila euro si sono tramutati in 579 quote dell'indice dei Titoli di Stato Italiani a Marzo 2003. A Ottobre 2007 le sue 579 quote valgono 83 mila euro, rendendolo ancora più povero di quando ha cominciato ad investire.

Quella di Marco è stata la storia di molti Italiani durante quella bolla speculativa e deriva dalla mancata consapevolezza dei propri limiti psicologici e della pericolosità dei mercati. Specialmente in fasi di borsa rialzista si tende a "dimenticare" che le azioni possono anche scendere! Investire in azioni è necessario per una buona diversificazione del portafoglio, unitamente ad altre classi di investimento, ma è importante capire qual è il livello di rischio che psicologicamente siamo in grado di tollerare!

Facciamo il caso di Sonia, che invece ha investito i suoi 100.000 euro al 60% nell'indice  MSCI ACWI e per la restante parte in Titoli di Stato italiani. A Marzo 2003 il portafoglio di Sonia varrebbe 92 mila euro, contro un valore raggiunto al picco massimo dell'azionario di 133 mila euro. In questo caso il drawdown massimo è stato del 30%. Ancora rispettabile, ma molto più gestibile psicologicamente rispetto al dimezzamento del nostro portafoglio. Infatti Sonia riesce a tenere duro e si ritrova a Ottobre 2007 con 144 mila euro.

Il grafico sotto riassume quanto scritto. L'andamento è molto rettilineo in quanto ho inserito solo i punti citati (non ho ricalcolato i portafogli per tutti i mesi degli 8 anni), quindi non è assolutamente fedele alla realtà nei punti "intermedi".

La differenza finale tra i risparmi di Marco e quelli di Sonia ci mostra quanto sia importante tenere duro e attenersi alla propria allocazione di portafoglio!


E questo ci fa capire anche come la scelta principale da prendere sia proprio la percentuale di azionario rispetto alla percentuale di bond da mantenere in portafoglio.

Un consiglio molto in voga in USA ci consiglia di selezionare la nostra età come percentuale di obbligazionario da mantenere in portafoglio.
Proprio per i motivi sopra esposti non sono d'accordo con questo consiglio. E' importante selezionare una percentuale di obbligazioni che ci permetta di non vendere in preda al panico.

Prendo a prestito un'analisi di Vanguard, casa di gestione americana che segue una filosofia no-profit. Nella sua pagina sui model portfolio ci mostra quale sia stato il crollo maggiore, dal 1926 al 2011, di portafogli con una percentuale variabile di azioni e bond.

Vi riepilogo il tutto in un grafico fatto in casa, mettendovi nell'asse a sinistra i rendimenti (linea verde) e nell'asse a destra la perdita annua massima (linea rossa), mentre nell'asse orizzontale trovate la percentuale allocata in azioni.


Con l'aiuto di questo grafico potete facilmente capire il vostro grado di "tolleranza". Siete disposti a ritrovarvi con il 45% in meno dei vostri soldi in un solo anno? Bene, allora tenete pure il 100% in azioni.
Vi spaventa perderne oltre un quarto invece? Meglio non superare il 50% di allocazione azionaria.

Chiaramente la maggiore sicurezza viene pagata in termini di rendimento. Mentre il rendimento storico del portafoglio interamente azionario è stato vicino al 10% annuo, il rendimento di un portafoglio azionario solo per la metà si è posizionato poco sopra l'8%. Ancora rispettabile, ma quella che sembra una piccola differenza nei rendimenti è invece significativa sul lungo periodo. Ipotizzando di investire 100.000 euro iniziali, ci si ritroverebbe dopo 40 anni con 4,5 milioni di Euro con il portafoglio interamente azionario e con 2,2 milioni di euro con il 50-50.

Come vedete una differenza minima nei rendimenti percentuali raggiunge velocemente volumi significativi: ed è per questo che per i nostri investimenti conviene solitamente selezionare "replicanti". I fondi a gestione attiva possono avere anche costi extra per uno-due punti percentuali rispetto a fondi passivi ed etf e questi costi alla lunga impattano negativamente sulle prestazioni. Anche perchè, ad oggi, non vi è evidenza di nessun gestore di fondi che sia riuscito persistentemente a battere il mercato nel lungo periodo. (per chi mastica l'Inglese.. qua la spiegazione "tecnica" di E.Fama e K.French.)

Anche qualora non siate convinti di adottare uno strumento a gestione passiva e preferiate uno strumento con un gestore che si "sporca le mani" per voi, il criterio per la selezione deve rimanere sempre lo stesso: i costi di gestione.
Non so quanti di voi conoscano Morningstar. Si tratta di una società di analisi dei fondi e dei mercati che è solita classificare i fondi attraverso le loro statistiche passate di rendimento e rischio, assegnando da una a cinque stelle ai fondi esaminati. Ebbene, la stessa società, con grande onestà intellettuale, in uno studio del 2010 riscontrò che il suo sistema di rating (uno dei più popolari al mondo) non era in grado di prevedere i risultati futuri di un fondo tanto accuratamente quanto i costi di gestione. Questo significa che prendendo una categoria di fondi attivi vi erano più possibilità di  avere risultati positivi selezionando un gruppo di fondi con bassi costi di gestione anzichè con 4 o 5 stelle Morningstar.

Chiaramente non è tutto così semplice. Ci sono altri criteri nella selezione di un fondo attivo che bisogna tenere in considerazione: la "storia" del gestore e del fondo (gestori pessimi tendono a confermarsi tra i pessimi. non è così per quelli "bravi", purtroppo), la dimensione  (fondi troppo piccoli hanno solitamente maggiori rischi di "morire" assorbiti in altri fondi. Fondi troppo grandi soffrono invece dell'impatto delle loro operazioni di trading che gli precludono le azioni meno conosciute) e la struttura commissionale sono sicuramente elementi da valutare.

Torniamo però al nostro obiettivo: costruirci il capitale di 400 mila euro per la pensione (sufficiente a garantirci, ad oggi, una rendita assicurativa reversibile di  circa 16.000 euro lordi annui al pensionamento).

Abbiamo una buona tolleranza al rischio, e decidiamo quindi di posizionarci su un portafoglio azionario al 70%. Il passo successivo è determinare quali strumenti utilizzare per posizionarsi all'interno di questa parte azionaria e come "riempire" il 30% di obbligazionario.

Vedremo il tutto in un prossimo post... Vi aspetto per la IV parte della Guida all'investimento.

2 commenti:

  1. Premesso che se ti scocci delle domande basta che me lo dici... perchè Marco non ha venduto, nel 2000, una volta raggiunto un ottimo guadagno (non dico ai massimi, semplicemente un ottimo guadagno, magari una percentuale stabilità a priori)?

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    1. Non preoccuparti, per chi scrive fa solo piacere vedere che i post suscitano interesse.

      La risposta è anche troppo banale: perchè mi serviva per l'esempio :)

      D'altronde è davvero quanto fatto da molti investitori in quel periodo quindi è opportuno avere davanti a noi questa immagine per evitare di fare la stessa fine.

      Una vendita progressiva delle quote è sicuramente consigliabile ed è alla fin fine quello che si fa con i ribilanciamenti periodici consigliati in tutti i lazy portfolio.

      Ho intenzione proprio di scrivere qualcosa in merito a breve, tempo permettendo (ci vorrebbero giornate da 42 ore..)

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