Guida all'investimento: Prima parte - Quando investire e come definire gli obiettivi.

Prima puntata della guida per capire quando investire, dove investire e su cosa investire.

Guida all'investimento: La Diversificazione

In questo post analizziamo l'importanza della diversificazione per il nostro portafoglio.

Guida all'investimento: Quarta Parte - Quali strumenti utilizzare per l'Azionario?

In questo post cerchiamo di capire come orientarci tra i vari strumenti disponibili

Come si seleziona un fondo?

Scopri i criteri fondamentali per la selezione del tuo fondo attivo.

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domenica 16 dicembre 2012

Proteggersi dall'inflazione: i Buoni del Tesoro indicizzati all'inflazione. BTP€i, OAT€i, Bund€i.

La prima classe di titoli che prendiamo in esame è quella dei Titoli di Stato indicizzati all'inflazione.
I principali strumenti a disposizione per l'investitore in area Euro sono i Titoli dei 3 paesi principali dell'Eurozona: Germania (Bund-€i), Francia (Oat-€i), Italia (BTP-€i).

Caratteristiche dei titoli indicizzati all'inflazione

Il simbolo dell'Euro nell'acronimo serve a ricordarci che la protezione fornita da questi titoli è riferita all'inflazione europea.

Il primo paese a introdurre questo tipo di Titolo di Stato fu la Francia nel 1998, con delle emissioni legate all'inflazione Francese.
In seguito anche l'Italia e la Germania (nel 2003 e nel 2005) cominciarono a offrire titoli con analoghe caratteristche.
Il funzionamento tecnico del titolo è stato copiato (per tutti e due i Paesi) dal titolo Francese.

Il meccanismo è in realtà abbastanza complesso...

In questo tipo di titoli vi è una componente nominale (analoga a quella di tutti gli altri Titoli di Stato) e una componente indicizzata (che serve a far sì che il valore del titolo serva quello dell'inflazione). La cedola (fissa) viene calcolata sul capitale rivalutato al momento dello stacco della cedola.

Come esempio si veda un BTP indicizzato all'inflazione che è possibile acquistare sul mercato, scadenza settembre 2017, ISIN IT0004085210.

Aprendo la scheda si legge: "Il titolo corrisponde cedole fisse, pagate con frequenza semestrale, pari a 2.1% del valore nominale rivalutato sulla base dell'inflazione europea registrata tra la data di emissione e la data di pagamento della cedola, e prevede il rimborso del 100% del valore nominale rivalutato per l'inflazione europea alla scadenza, il 15.09.2017."

E' quanto avevamo visto. Ma come avviene la rivalutazione sulla base dell'inflazione europea?
La rivalutazione si ottiene attraverso un coefficiente di calcolo, che prende il nome di Coefficiente di Indicizzazione.


Il coefficiente viene calcolato dividendo l'inflazione di riferimento per un determinato mese e giorno per l'inflazione base (che coincide con l'inflazione alla data di emissione ed è indicata nel prospetto).

L'inflazione di riferimento viene calcolata secondo la formula seguente:
IRg,m= Indice Eurostat di 3 mesi prima + (giorno -1)/(giorni del mese in esame)* (Indice Eurostat di 2 mesi prima - Indice Eurostat di 3 mesi prima)

Pensierosi? non siete i soli.. anche l'uomo nella foto di Thomas Leutard non ci sta capendo molto!


Fortunatamente non è un calcolo che dobbiamo farci da soli, ma si tratta di un valore che è facilmente reperibile sul sito di Borsa Italiana o del Ministero del Tesoro.
Se seguiamo uno dei due link, vedremo che, ad esempio, è già disponibile il Coefficiente di Indicizzazione per tutti i giorni del mese di Ottobre 2012. In particolare, se volessimo acquistare il titolo il 22 Ottobre 2012, dovremmo utilizzare il coefficiente 1,13948, che andrebbe moltiplicato per il prezzo di mercato.

Se supponiamo di avere in pagamento la cedola semestrale lo stesso giorno, avremo, per ogni titolo 1000 (lotto minimo) x 1,13948 x (2,1%/2) = 11,96 euro. Questa cedola corrisponde a circa un 2,4% in termini nominali, proprio per effetto dell'indicizzazione!

Il coefficiente di indicizzazione, quindi, è il metodo attraverso il quale lo Stato ci garantisce la copertura dall'inflazione rilevata.

Analogamente, quando il titolo arriverà a scadenza, riceveremo l'importo nominale investito moltiplicato per il coefficiente di indicizzazione. E' importante ricordare che nel caso in cui l'importo del coefficiente sia negativo il valore di rimborso non può mai essere inferiore al valore nominale! Questo ci tutela, quindi, da un eventuale scenario deflattivo.

Esempio di acquisto di un BTP-€i.

I Btp-€i possono essere acquistati in asta o sul mercato secondario. Mentre l'acquisto in asta è piuttosto semplice da calcolare (non vi è, infatti, la complicazione del coefficiente di indicizzazione e funziona come la sottoscrizione di qualsiasi altro Titolo di Stato), l'acquisto sul mercato secondario è più complicato.

I prezzi dei Btp-€i sul MOT sono a corso secco. Questo significa che non includono la componente della cedola maturata (e quindi dovremo pagare un rateo separatamente) e non includono il coefficiente di indicizzazione.

Supponiamo di inserire l'ordine di acquisto il 17 ottobre 2012 a 98,46 (corso secco) per 10 mila euro nominali.
Innanzitutto dobbiamo capire il coefficiente di indicizzazione da applicare. Dal momento che il regolamento avviene a 3 giorni, il terzo giorno lavorativo successivo è il 22 ottobre 2012. Il Coefficiente di Indicizzazione da utilizzare è quindi 1,13948, come riportato dal sito di Borsa Italiana.

Inoltre dovremo pagare anche un rateo sulla cedola. Dal 22 ottobre al 15 settembre 2012 (data di ultimo stacco della cedola) sono passati 37 giorni. Calcolando il rateo secondo la convenzione act/act come da prospetto dobbiamo aggiungere 0,21 al prezzo rilevato come corso secco (37/365*2,1%), ottenendo un prezzo da pagare di 98,67.

A questo punto dobbiamo moltiplicare il valore ottenuto per 1,13948 (il CI). Otteniamo 112,43. Il prezzo da noi pagato sarà quindi pari a 112,43/100*10.000= 11.243 euro.
La differenza tra questo prezzo e 9.867 euro (prezzo tel quel del titolo) rappresenta l'indicizzazione del capitale dal 2006 ad oggi!

Tassazione

Un aspetto da non sottovalutare è la tassazione di questi titoli.
La normativa fiscale divide i redditi di carattere finanziario tra redditi diversi (solitamente compensabili) e redditi da capitale.

Nel caso di BTP indicizzati (o titoli analoghi) la cedola viene assoggettata a un'imposta sostitutiva del 12,50% non compensabile con eventuali minusvalenze. La tassazione viene calcolata includendo nel valore della cedola anche la parte relativa al Coefficiente di Indicizzazione.

Il capitale rimborsato a scadenza rientra sempre nelle previsioni del decreto 239 del 1996. E' quindi soggetto a tassazione non compensabile del 12,50%.

Tuttavia, il sito del Ministero ci informa che: "il prelievo di cui al citato decreto n. 239 del 1996, non può che applicarsi a partire da momento in cui detto incremento diviene conoscibile e cioè, precisamente, quando (in prossimità della scadenza ma prima della stessa) saranno resi noti i dati necessari per calcolare il valore di rimborso. Fino a tale momento l'incremento valutato in via probabilistica dal mercato non può costituire, invece, provento soggetto alle disposizioni del decreto 239, citato, e, di conseguenza, qualora nelle compravendite sul titolo se ne tenga conto e, per effetto degli scambi, si producano delle differenze positive (o negative) dette differenze determinerebbero soltanto un guadagno (o una perdita) in linea capitale in capo a chi le realizzasse."

Questo codicillo diventa molto importante per "gestire" fiscalmente i nostri titoli.

Se ipotizziamo di avere accumulato minusvalenze in passato, infatti, e non abbiamo modo di recuperarle diversamente con certezza, una soluzione può essere quella di acquistare titoli indicizzati all'inflazione con scadenza paragonabile a quella delle nostre minusvalenze e venderli appena prima che il calcolo sulla rivalutazione diventi definitivo. In questo modo li cederemo sul mercato e la plusvalenza realizzata sarà compensabile!

Il nostro lettore Killerinpensione evidenzia poi come lo stesso giochino si possa fare con titoli acquistati sopra al valore di 100 per evitare di pagare interamente la tassazione sulla rivalutazione.
Supponiamo, infatti, di acquistare un btpi a un prezzo di 100 con un CI al momento dell'acquisto di 1,10. Pagheremo 110.

A scadenza il BTPi rimborserà 100, ma il CI sarà diventato 1,20. Se portassi a scadenza il mio BTPi pagherei un 12,50% di imposta su tutti i 20 di indicizzazione. Se invece vendo il BTPi appena prima che diventi definitivo il coefficiente pagherò l'imposta solo sul differenziale tra i 120 ottenuti dalla vendita e i 110 sostenuti per l'acquisto.

E' quindi chiaro come sia più conveniente vendere il titolo prima che sia comunicato il valore ufficiale del Coefficiente di Indicizzazione, anche in assenza di minusvalenze.

Se invece il mio acquisto fosse sotto a 100  (es 90) non avrei alcuna convenienza a mettere in pratica questo stratagemma. Pagherei il 12,50% come tassazione sull'incremento del coefficiente di indicizzazione per la parte sopra a 100 (riprendendo l'esempio di prima da 100 a 120) e pagherei comunque il 12,50% per la differenza tra il prezzo di acquisto di 90 e 100.

Vendendo prima della scadenza pagherei lo stesso importo, perchè pagherei un 12,50% di tassazione per redditi diversi pari a 30 (120-90). In questo caso avrei una convenienza solo se avessi già una minusvalenza nel mio zainetto fiscale.

Riassunto finale

In definitiva, possiamo riassumere così pro e contro di Btp-€i e analoghi.

Pro

  • Copertura dall'inflazione garantita dallo Stato.
  • Possibilità (con qualche accorgimento) di compensare le minusvalenze.
  • Nessun costo aggiuntivo dopo il primo acquisto.

Contro

  • Complessità del meccanismo di calcolo del C.I.
  • Scarsa chiarezza nella determinazione del prezzo complessivo per la maggior parte delle piattaforme di Trading.
  • La tassazione riduce la possibilità dello strumento di coprire da inflazione elevata.

mercoledì 26 settembre 2012

Proteggersi dall'inflazione: quali titoli usare?

Perchè proteggersi dall'inflazione?

Foto di Ludo29880 che rappresenta la famosissima testuggine romana
Noi Italiani siamo un popolo che ha abbastanza chiaro il concetto di inflazione, anche a seguito dei numerosi anni durante i quali l'aumento dei prezzi al consumo ha raggiunto vette importanti.

Per chi di voi ancora avesse dei dubbi, l'inflazione è l'aumento generalizzato dei prezzi. L'inflazione viene calcolata, per l'Italia, da due diversi istituti di statistica: Istat ed Eurostat. La differenza principale sta nei panieri che i due istituti utilizzano (ovvero quali prodotti prendere in considerazione e in quali proporzioni) che porta a valori del tasso di inflazione leggermente diversi tra loro.

Seguendo il link al sito dell'Istat e cliccando su prezzi al consumo, possiamo constatare variazioni mensili nell'ordine del 2-3% rispetto all'anno precedente. Questo vuol dire che se un anno fa spendevamo 100 euro per acquistare pane, pasta, benzina, sigarette, latte, eccetera, ora spendiamo 103 euro.

Quando risparmiamo accantoniamo delle somme in previsione di spese future. E' ovvio che se il nostro rendimento non sarà tale da coprire almeno l'inflazione avremo in futuro una capacità di spesa inferiore a quella che avremmo ad oggi.

Diventa quindi fondamentale per l'investitore riuscire ad ottenere un rendimento maggiore dell'inflazione: tale rendimento prende il nome di rendimento reale positivo.

Come si comportano gli strumenti finanziari rispetto all'inflazione?

Senza approfondire troppo le spiegazioni, proviamo ad analizzare alcune macro-classi di strumenti finanziari nel loro rapporto con l'inflazione.

Le obbligazioni a tasso fisso offrono una protezione dall'inflazione limitata. Quando le acquistiamo, infatti, "blocchiamo" un certo rendimento fino alla scadenza. Se l'inflazione dovesse superare tale soglia, i nostri soldi comincerebbero a perdere valore.

Supponete di aver acquistato all'emissione un Buono del Tesoro decennale nel gennaio del 1970, al rendimento nominale del 10%. Raddoppierete il vostro investimento!
Tuttavia, la storia vi riserva un brutto scherzo.
Se, inizialmente, l'inflazione si attesta al 5,2%, con il passare degli anni arriva rapidamente a mangiarsi il vostro rendimento. Nel 1973 è già all'8,1%. Nel 1975 tocca il picco massimo di circa il 24%! Non tornerà più sotto il 10% prima della scadenza del vostro titolo.. siete ora più poveri, anche se avete raddoppiato il capitale in termini nominali!

Le cose non sarebbero cambiate particolarmente con obbligazioni a tasso variabile. Tali obbligazioni, infatti, sono legate al tasso fissato dalla Banca Centrale. Riprendendo lo stesso esempio di prima, il tasso di sconto ufficiale in Italia tra 1970 e 1980 oscillò dal 5,5% al 16,5%... rimase ben al di sotto dell'inflazione per la maggior parte degli anni presi in esame.

Se quindi non le obbligazioni tradizionali non sono lo strumento adatto, cosa possiamo usare? Le azioni possono andare bene?

In linea di massima ci si potrebbe aspettare che le azioni proteggano da eventuali fiammate inflattive. Tuttavia, se è vero che storicamente le azioni hanno avuto rendimenti reali positivi, complessivamente, è anche vero che la correlazione tra i rendimenti delle azioni e l'inflazione è prossima allo zero. Questo significa che dato un incremento o un decremento dell'inflazione, non vi è alcuna garanzia che le azioni ci proteggano dal suo aumento in un lasso di tempo medio-breve.

E le commodities?
In linea teorica le commodities (materie prime: petrolio, grano, zucchero, caffè..) dovrebbero fornire una buona protezione contro l'inflazione. Dopotutto è il loro aumento a determinare anche l'aumento dell'inflazione.
Diversi studi hanno però mostrato che la correlazione è in media (su base semestrale) di 0,4 dal 1970. In termini statistici questo significa che le due variabili tendono a muoversi insieme, ma in maniera non direttamente proporzionale (la correlazione massima è 1).

Questo perchè sul prezzo delle commodities incide fortemente anche la congiuntura economica. In questo momento stiamo vedendo un inflazione intorno al 3%, ma i prezzi delle commodities hanno avuto anche flessioni importanti nell'ultimo anno.

In sintesi: volatilità e correlazione imperfetta le rendono una protezione contro l'inflazione sub-ottimale.

Che pensare dell'investimento immobiliare?
Grande classico degli italiani, l'investimento immobiliare dovrebbe essere, sulla carta, ideale per la protezione dell'inflazione.
Su brevi periodi non si vede una correlazione significativa tra le due variabili, essendo prossima allo zero.

David Swensen, nel suo testo Unconventional Success, analizza come questa classe di investimenti sia, tra tutte quelle "tradizionali", quella che protegge in misura migliore dall'inflazione, nel lungo periodo. Sempre che al lungo periodo ci arriviamo :)

Siamo quindi senza speranza?

Vista l'analisi riportata sopra non c'è da essere ottimisti... la possibilità di coprirsi dal rischio di un'inflazione galoppante è limitata alle azioni e alle commodities (se si vuole rischiare) o agli immobili, e si tratta di coperture imperfette.

Fortunatamente, negli ultimi anni, il Tesoro (e anche alcune aziende) ci hanno fornito la possibilità di accedere a titoli correlati direttamente all'inflazione: Btp-€i (Btp indicizzati all'inflazione europea), BTP Italia (i nuovi prodotti indicizzati all'inflazione italiana), Bfpi (buoni postali indicizzati all'inflazione italiana), buoni corporate inflation-linked sono tutti strumenti che garantiscono un rendimento reale ai nostri soldi.

Si tratta davvero di una rivoluzione, cioè della certezza di riuscire sempre a battere la perdita del potere d'acquisto dei nostri risparmi, tanto più che un famoso autore americano, Zvi Bodie, arriva retoricamente a chiedersi per quale motivo qualsiasi persona sana di mente dovrebbe investire in altri prodotti tranne questi.

Per il momento ci fermiamo qui. Nella prossima serie di post analizzeremo uno ad uno i vari prodotti
disponibili, per capirne al meglio pregi e difetti.

Stay tuned!

sabato 8 settembre 2012

Differenza minima tra Obbligazionari Corporate e Titoli Di Stato

Meno di zero.

Questo il rendimento che la Siemens ha ottenuto su una sua emissione a due anni emessa all'inizio del mese.

Se vi state ponendo delle domande sulla solidità dell'azienda, che evidentemente deve essere elevatissima per beneficiare di questa fiducia da parte dei mercati ebbene, sappiate che il rating della società è A+ per S&P e Aa3 per Moody's... insomma, siamo sotto al grado di affidabilità della Repubblica Ceca (AA) e appena sopra a Polonia (A) e Italia (BBB+).

Due motociclisti che combattono all'ultimo secondo.. Foto di Dicktay2000 



E' ormai evidente che molti stanno fuggendo dai Titoli di Stato per rifugiarsi sui corporate... con effetti perversi.
Se prendiamo il rendimento a scadenza dell'ETF di iShares sui titoli governativi area Euro (ticker: SEGA . E non fate ironie sul ticker :)) siamo al 2,34%. Se prendiamo, invece, il rendimento a scadenza dei corporate area Euro di un altro  ETF di iShares (ticker: IEAC) siamo a 2,69%.

Certo, permane un piccolo vantaggio in termini di duration per i corporate (4 contro 6), ma siamo sicuri che il rendimento sia tale da rendere sensato investire nei corporate anzichè nei più semplici Titoli di Stato?

O davvero pensiamo che le grandi aziende europee siano più solide dei governi, anche alla luce dei recenti interventi di Draghi?

giovedì 30 agosto 2012

Guida all'Investimento: meglio Fondi o singoli Titoli obbligazionari?

E' da molto tempo che non continuo la serie di post "Guida all'Investimento". L'ultimo post, di oltre un mese fa, riguardava la scelta dei fondi azionari, mentre il post precedente riguardava come scegliere una percentuale adeguata di bond e azioni nel proprio portafoglio: ovvero come determinare la propria asset allocation.

In questo quinto articolo della guida proverò a illustrare qualche concetto di base relativo alla parte obbligazionaria del vostro portafoglio.

Innanzitutto vi ricordo che la trattazione di questo articoletto riguarda esclusivamente quei soldi che stiamo investendo a lungo termine (diciamo in ottica previdenziale/di costruzione di un capitale) e non soldi accantonati per far fronte a specifiche passività (ad esempio l'acquisto di una nuova auto tra 3-4 anni). Per i secondi la scelta ottimale è sicuramente quella di singoli titoli obbligazionari la cui scadenza coincida con il momento in cui andremo ad effettuare la spesa, mentre per i primi vi sono diverse opzioni da considerare, tutte ugualmente valide.

Nella terza parte della guida avevamo fatto la scelta di un portafoglio al 70% azionario e al 30% obbligazionario.
Come dovremmo ripartire questo 30%?

E' ovvio che in un portafoglio come quello selezionato il grosso dei rendimenti sarà fornito dai fondi azionari che, storicamente, hanno sovraperformato i bond. Il ruolo delle obbligazioni in un portafoglio come questo non dev'essere quello di una ulteriore ricerca di rendimento, quanto quello di "guardiano" della nostra stabilità emozionale e finanziaria.

Molto spesso gli investitori tentano di massimizzare il rendimento delle singole componenti del loro portafoglio: questo può portare, nell'obbligazionario, alla ricerca di extra-rendimenti attraverso la sottoscrizione di titoli o fondi obbligazionari relativi a società (corporate) o società in difficoltà (junk-bonds, high-yield).
Una scelta di questo tipo può essere deleteria per la salute (mentale e cardiaca) di chi la effettua. Cercherò di spiegarmi meglio con un grafico.

Grafico che mostra la correlazione tra asset class obbligazionarie.
Fare clic per ingrandire.














Il grafico riassume gli ultimi 10 anni per quattro investimenti:
  1. Titoli Obbligazionari High-Yield (HY).
  2. Titoli Obbligazionari Governativi (Govt)
  3. Titoli Obbligazioanri Corporate (Corps)
  4. Azioni Europee (MSCI EMU)
Le linee rappresentano il rendimento che si sarebbe avuto dopo 6 mesi investendo in uno dei quattro indici.
Appare subito evidente come la linea blu (HY) e la linea verde (azioni) viaggino abbastanza di pari passo. La correlazione tra le due aumenta nei momenti di maggior crisi.

Questo è esattamente quello che vogliamo evitare per il nostro portafoglio.. supponiamo di avere un portafoglio al 50% azionario e al 50% obbligazionario. Se le borse perdono il 40% (come nel 2009, infatti) non possiamo assolutamente permetterci di perdere un altro 40% con la nostra parte di portafoglio che deve limitare il rischio.

Una relazione simile sussiste anche per i titoli corporate, seppure in misura minore. La linea rossa, infatti, segue molto meno la linea verde (le azioni), ma vediamo che in alcuni momenti di crollo delle borse ha avuto la tendenza a scendere in negativo, anche in maniera importante.

Supponiamo che il consiglio del nostro promotore sia stato di investire in alcuni fondi obbligazionari tali da avere una proporzione di 50% corporate, 30% governativo, 20% HY. In una situazione come quella della crisi del 2009 (e vi sono evidenze simili anche in passato) avremmo avuto una perdita complessiva di circa il 10%, da sommarsi alla perdita dell'azionario. E' ovvio che tutto questo metterebbe a dura prova i nervi di qualsiasi investitore.

Se l'investitore in questione avesse invece investito i propri soldi in titoli governativi (Titoli di Stato)  avrebbe avuto nel periodo iniziale del nostro grafico risultati positivi tra il 3% e il 4%, da fine 2007 a inizio 2010 rendimenti tra il -0,7% e il +5%, mentre nella crisi più recente avrebbe avuto una perdita massima della sua componente obbligazionaria del 4% (in un solo caso), con gli altri risultati tra il -0,7% e il 4%.
Estendendo il periodo di calcolo del rendimento rolling a 24 mesi non vi sono segni meno maggiori dello 0,5% per i governativi euro anche durante la crisi dei debiti sovrani.

Quali conclusioni trarre da queste considerazioni dunque?
  1. Lo scopo della componente obbligazionaria del nostro portafoglio è quello di limitare il rischio e le potenziali perdite delle azioni. Di conseguenza la scelta ottimale sono i titoli governativi.
  2. I titoli obbligazionari ad alto rendimento hanno un profilo di rischio simile a quello delle azioni: sono quindi sconsigliabili per ridurre il rischio di portafoglio.
  3. I titoli corporate hanno rendimenti paragonabili ai titoli governativi senza tuttavia avere la stessa funzione di "assicurazione" contro eventuali periodi di crisi.
Questo significa quindi che non dobbiamo avere in portafoglio fondi o titoli obbligazionari corporate o High-Yield? Un autore che stimo molto, David Swensen, gestore del fondo di investimento della Yale Foundation, suggerisce esattamente questa conclusione.

Personalmente credo che sia più una questione di preferenze personali. Può avere senso includere HY in portafoglio (o corporate), ma ritengo che si debba ridurre di conseguenza l'allocazione azionaria, in maniera tale da non caricarci di rischi eccessivi. Stando ai risultati storici si tratta di una scelta non ottimale dal punto di vista dei rendimenti (le azioni hanno avuto rendimenti maggiori), ma in realtà nessuno sa cosa ci riserva il futuro, ad oggi.

Se non siete tranquilli ad avere una forte quota azionaria in portafoglio, può avere senso ridurla e cercare un extra-rendimento attraverso fondi HY. Avendo però ben chiaro che la somma delle due asset class deve garantirvi una perdita massima tollerabile dal punto di vista psicologico, e avendo sempre la massima cura nel mantenere una larga porzione in titoli "tranquilli" che fungano da cuscinetto e da trincea contro gli attacchi dei mercati alla vostra salute mentale.

Torniamo quindi al nostro investitore ipotetico che deve decidere come ripartire la quota obbligazionaria del proprio portafoglio. Avendo già un'allocazione del 70% azionaria è ovvio che deve mettere in portafoglio i titoli che gli forniscono maggiore sicurezza: si tratta di Titoli di Stato dei paesi più solidi, in euro.
Acquistare titoli in valuta estera permette maggiore diversificazione, ma nel nostro caso andrebbe ad aggiungere un rischio di cambio già presente nel portafoglio attraverso la quota azionaria. Meglio, quindi, attenersi alla sola valuta di riferimento.

Per quanto riguarda la durata dei titoli, è meglio non allungarla troppo. Un buon compromesso può essere un titolo con una scadenza tra i 5 e 10 anni. Allungando le scadenze solitamente si allungano i rendimenti, ma sono troppi i fattori che possono cambiare nel giro di 30 anni per correre un rischio simile, a mio parere.

Ad esempio, la curva dei rendimenti sui Bund tedeschi al 29 agosto 2012 era la seguente:
Curva dei tassi tedeschi al 29/08/2012
Fare clic per ingrandire

Dal grafico si può notare come il rendimento di un bond a 5 anni sia, ad oggi, dello 0,5%. Allungando la scadenza a 10 anni si incrementano i rendimenti di circa l'1%. Per avere un incremento di un ulteriore punto percentuale dei rendimenti bisognerebbe allungare le proprie scadenze di 20 anni!

La differenza di rischio è notevole. Un titolo a 5 anni ad oggi avrebbe una duration di circa 4,3, uno a dieci anni di circa 8,3, mentre il bund trentennale intorno a 20. La duration rappresenta, se mi passate la semplificazione, il tempo nel quale il bond vi ha ripagato il vostro investimento iniziale. Ma la duration vi serve anche per un'altra cosa: stimare il rischio del titolo. Ipotizziamo un aumento dei tassi (prima o poi dovrà succedere) dell'1%. Il titolo con duration 4,3 vi farà perdere all'incirca 4 punti percentuali. Quello con duration 8,3 circa 8 punti percentuali. Ma quello con duration 20 potrebbe farvi perdere fino a 20 punti percentuali (nella pratica la relazione non è così lineare, ma è un dato che si può utilizzare come metro di rischio).

Torniamo al nostro investitore: sa che vuole Titoli di Stato di paesi solidi, sa che li vuole di una scadenza tra i 5 e i 10 anni... ma che strumento dovrebbe utilizzare?
Le opzioni sono 3:
  1. Acquisto dei singoli bond.
  2. Acquisto di un fondo comune a gestione attiva
  3. Acquisto di un etf a gestione passiva.
Se analizziamo l'asset class ci aspettiamo di avere un rischio di default prossimo allo zero (anche se sappiamo, purtroppo, che non è più così per tutti i Paesi). Dal momento, inoltre, che vogliamo investire su una sola valuta (l'Euro) i benefici di diversificazione dei fondi non sembrano tali da  giustificare il loro costo.
Fondi comuni obbligazionari con commissioni piuttosto basse rispetto alla media costano comunque circa l'1% annuo. Specialmente in situazioni di tassi bassi come questo il fardello messo sul nostro investimento è notevole, mentre le garanzie che il gestore riesca a far meglio di un piccolo risparmiatore che compra titoli di Stato a scadenze distanziate di un anno l'una dall'altra non ci sono.

Gli ETF, d'altra parte, hanno un costo molto minore. Per molti ETF su titoli governativi siamo intorno allo 0,15%. Il vantaggio è quello di poter investire anche piccole somme (rispetto al taglio minimo di 1000 euro dei titoli di stato) e di non doversi preoccupare dei rinnovi (il fondo compra e vende in autonomia).

Tuttavia con l'ETF rinunciamo ad altri vantaggi di detenere il singolo titolo:
  1. Zero commissioni da pagare, ad eccezione di quelle di acquisto.
  2. Maggiore efficienza fiscale (in quanto ci risparmiamo la cervellotica tassazione degli ETF e possiamo compensare le minus con le plus di altre obbligazioni)
  3. La possibilità di portare a scadenza il titolo e incassare il valore nominale.
Il punto 3 è un fattore esclusivamente psicologico (vi sono infatti metodi per ottenere lo stesso risultato con fondi e/o ETF obbligazionari, seppure più complicati), ma non va sottovalutato.

Quindi non ha senso detenere fondi o ETF obbligazionari?
Non è proprio così. La scelta è corretta quando andiamo ad utilizzare questi strumenti sulle altre due asset class obbligazionarie viste sopra: i titoli corporate e i titoli ad alto rendimento.
In questo caso il maggior rischio di default (rispetto a uno Stato) delle singole società ci deve portare a fare affidamento ai fondi o agli ETF, che detenendo un ampio numero di bond sono meno soggetti al default di un singolo emittente.

La scelta tra il fondo obbligazionario e l'ETF obbligazionario a quel punto è principalmente una questione di preferenze personali (gestione attiva/passiva).

giovedì 12 luglio 2012

Il Mib uno degli affari più grossi del momento?

Sono un grande fan del PE 10 di Shiller.
Per quanto sono convinto che sia difficile prevedere in anticipo l'andamento dei mercati, è altrettanto vero che alla fine il risultato di un mercato è determinato da variabili economiche oggettive.

Nel caso delle azioni, la determinante principale non può essere altro che il profitto delle aziende quotate. Interessante, da questo punto di vista, l'analisi di John Bogle nel suo libro Common Sense on Mutual Funds investing dove mostra come il dividend yield di un indice sia in grado, da solo, di spiegare con ragionevole precisione l'andamento futuro dell'indice sottostante di lì a 10 anni (sì, 10 anni.. quindi niente market timing, sorry).

Il PE10 di Shiller è un indice che prende in esame da un lato il prezzo dell'indice, dall'altro la media degli utili per azione (aggiustati per l'inflazione) degli ultimi 10 anni. In questo modo si ottiene un dato medio su un periodo ragionevolmente lungo, nel quale si cerca quindi di depurare l'effetto di anni particolarmente buoni o particolarmente cattivi.

Nel tempo il PE10 di Shiller si è mostrato un indicatore ragionevolmente valido dei ritorni azionari degli anni successivi.

Facendo click su questo link  verrete portati sul sito di Mebane Faber (Investment Adviser per Cambria) e su un suo articolo un po' vecchiotto dove mostra come a valori di PE 10 maggiori corrispondano ritorni successivi inferiori, il che non stupisce... più il valore è alto più sto pagando un euro di utili! E' un po' come se avessi la possibilità di acquistare un bar che guadagna 10.000 euro all'anno, in media, negli ultimi 10 anni. E' chiaro che pagarlo 80 mila euro, ovvero un PE di 8x, mi farà probabilmente guadagnare di più che pagarlo 150 mila euro, cioè un PE di 15x. Questo chiaramente ci riporta ai fondamentali economici, che non possono essere ignorati, nel lungo periodo.

Ebbene, se tornate a vedere quei grafici vedrete che più il rendimento è alto (annualizzato, su 10 anni), più il PE di Shiller è basso (in media).




 Dove voglio arrivare?
Beh, il buon Faber ha postato l'aggiornamento dell'indice al 30 di Giugno. (vedete a sinistra l'immagine)


Se torniamo al primo post linkato vediamo quindi che il risultato atteso per il mercato Greco è addirittura un +12% annualizzato per i prossimi 10 anni.

Per l'Italia, l'Irlanda e il Portogallo, presumibilmente, tra il 10 e il 12% annualizzato.

A questo punto sta a voi decidere se può valer la pena fare una scommessa su questi paesi. In tal caso avete due strade: o li acquistate direttamente, con un ETF, o vi accontentate di un indice "broad" per ridurre il rischio..

Tra i paesi presenti nell'indice MSCI EMU quello con la valutazione migliore è (che strano..) la Germania che non ha, tuttavia, una valutazione eccessiva (come USA e Indonesia..). Il livello del PE10 tedesco è tale da essere coerente con un rendimento dell'8% annualizzato...


Ora, prima che andiate a puntare tutti i vostri soldi su un ETF Greco, riguardatevi meglio il terzo grafico del primo articolo... tutti quei puntini sono rendimenti calcolati su periodi REALI. Beh, non tutti sono così lusinghieri anche se, ad oggi, non vi sono puntini corrispondenti a livelli di PE 10 così bassi in territorio negativo..



Ma ricordatevi, in finanza i Cigni Neri sono sempre dietro l'angolo.


mercoledì 4 luglio 2012

Dove investire i propri soldi: quali strumenti utilizzare?

Ci eravamo lasciati nella terza parte della nostra Guida all'Investimento con una scelta: la nostra asset allocation tra bond e azioni.

Come abbiamo visto si tratta di una scelta dalla quale dipenderanno in larghissima parte i nostri rendimenti futuri: da un lato vi saranno le azioni a portarci rendimenti più elevati, dall'altro i bond compenseranno i crolli dei pacchetti azionari a fronte di rendimenti minori.

Ricordatevi però che è possibile capitare in una "anomalia statistica" ed essere vittima di un periodo con rendimenti superiori dei bond rispetto alle azioni.

Il 30 Settembre 2011 si è verificata una di queste anomalie statistiche. Un investitore che 30 anni prima avesse investito il 100% in azioni USA, sarebbe stato battuto da un investitore in titoli di Stato USA. Un fatto del genere non si era mai verificato dal 1861... un altro buon motivo per ricordarsi di diversificare e includere sempre sia una parte di bond che di azioni nel proprio portafoglio.
Un cigno nero. (Cindy Funk) Gli eventi insoliti in finanza prendono questo nome


Noi avevamo scelto un portafoglio al 70% azionario nel nostro post precedente, quindi abbiamo rispettato le regole di una buona diversificazione.

Il nostro ipotetico investitore deve però scegliere lo strumento adatto dove investire i propri soldi.
Per farlo deve porsi la seguente domanda: investo solo in Italia, solo in Europa o in tutto il mondo? E investo in alcuni settori o in tutti i settori?

Anche qui, a mio parere, il filo logico da seguire è quello della massima diversificazione, al fine di minimizzare i rischi e stabilizzare i rendimenti. Se seguite il link alla classifica delle borse del 2011 vedrete che i rendimenti variano dal +77% del Venezuela al -72% di Cipro. Ma anche paesi importanti come la Cina (-20%), l'India (-25%), il Brasile (-18%) hanno avuto cali notevoli.

Di contro, investendo nell'indice MSCI ACWI IMI (ACWI sta per tutti i paesi del mondo, IMI per tutte le tipologie di capitalizzazione, piccole, medie e grandi imprese) avremmo perso "solo" il 9,87%. livellando la performance.

Per esaminare la performance di singoli settori, invece, facciamo direttamente riferimento al sito di iShares. Vedremo che, per esempio, l'automobilistico ha perso il 22% nel 2011, quello dei servizi finanziari il 18%, i media il 7% e via dicendo. L'indice aggregato, lo STOXX 600, ha invece registrato una performance negativa per circa il 9%. Come si può chiaramente notare, puntare su indici ampi ha il chiaro vantaggio di ridurre la variabilità che possono avere determinati settori o determinati paesi.

Torniamo all'ipotetico investitore che deve decidere dove investire i propri soldi. Fiducioso in un approccio "ampio", decide di investire in tre macro aree: l'area Euro, l'area dei paesi sviluppati mondiali, e l'area dei Paesi emergenti. Deve però ancora decidere le proporzioni.

Qui non c'è una regola ben precisa, anche se, personalmente, preferisco dare maggior peso alla diversificazione internazionale pur facendo attenzione a non assumere eccessivi rischi di cambio. Per questo motivo un consiglio che mi sentirei di dare (all'interno di quel 70% azionario) sarebbe quello di riservare un 35% all'area Euro, un 25% agli altri paesi sviluppati e il 10% restante agli emergenti . Ricordatevi che comunque diversificare ed essere presenti sui mercati ci garantisce già dei benefici per la mancata correlazione tra di essi. Cercare di prevedere con esattezza la percentuale ideale è un esercizio futile e possibile solo a posteriori. Se l'allocazione proposta non vi piace modificatela a piacere: occhio però a rimanere con almeno un 10-15% su ciascuna di queste aree. E' fondamentale per godere dei benefici della diversificazione.


Non credo nemmeno nei benefici del market timing, ovvero di decidere come e quando spostarsi tra le varie aree geografiche: meglio rimanere investiti sempre e su tutte. Ci proteggeremo da eventuali valutazioni folli ribilanciando periodicamente (lo vedremo nei prossimi post).
Ricordate che nessuno può aver la pretesa di sapere esattamente cosa faranno i mercati nel breve termine: questo è abbastanza lampante cercando su internet i consigli degli "esperti" (o dei gestori di fondi attivi) di 12 mesi prima... buon divertimento.

Tornando al nostro ipotetico investitore, ora che ha scelto la sua allocazione geografica deve scegliere lo strumento per investire i propri soldi. Come fare?
Le possibilità sono essenzialmente quattro:
  1. Comprarsi singole azioni sui vari mercati
  2. Acquistare quote in un fondo comune
  3. Acquistare quote di un ETF
  4. Far ricorso a prodotti "alternativi" come polizze, certificati, eccetera..
La prima possibilità presenta svantaggi importanti: innanzitutto bisognerebbe disporre di capitali elevati per minimizzare l'impatto delle commissioni e raggiungere una diversificazione accettabile; inoltre va segnalato che le commissioni per il trading su mercati esteri sono mediamente più elevate; bisognerebbe trovare un criterio di selezione adeguato per le azioni e, infine, bisognerebbe tenere presente che acquistando su mercati esteri saremmo soggetti a doppia tassazione dei dividendi (con conseguente obbligo di presentazione dell'Unico per vedersi riconosciuto il credito di imposta). Insomma, una bella fatica.

La quarta possibilità è solitamente da scartare per 2 motivi: il primo è la scarsa trasparenza di regolamenti di questi strumenti. Non sempre si hanno ben chiare tutte le clausole e tutti gli aspetti della gestione. Il secondo è che solitamente il costo è elevatissimo (per le polizze) oppure ci si espone al rischio di insolvenza della banca emittente (per i certificati).

Le altre due opzioni riguardano effettivamente gli strumenti più utilizzati dagli investitori: entrambi hanno il vantaggio di garantire una buona diversificazione (investendo in un vastissimo numero di titoli) e di rendere l'operazione di investimento facile da gestire (basta sottoscrivere le quote o acquistarle in borsa).

Il numero di fondi oggi disponibili è enorme. Se il nostro investitore volesse acquistare un fondo azionario Europeo, secondo Morningstar, avrebbe a disposizione ben 412 fondi comuni e 21 ETF. Come scegliere quindi quello migliore? Qui si scatena solitamente la lotta tra la gestione attiva e la gestione passiva. I fautori della prima vi diranno di cercare quelli con i rendimenti passati maggiori dell'indice (o le 5 stellette di Morningstar), in quanto hanno dimostrato di saperci fare e di essere in grado di battere il mercato. I secondi vi diranno invece di andare senza remore sull'ETF, cercando magari quello con il costo di gestione più basso, perchè nel lungo periodo nessuno può battere il mercato.

Chi ha ragione? Personalmente mi iscrivo alla seconda linea di pensiero, e cercherò di spiegarvi il perchè nel modo più semplice possibile.

  1. Il mercato è formato da investitori individuali e professionali che competono per avere rendimenti maggiori del mercato stesso, oltre che dallo stuolo di investitori che puntano ad avere esattamente il rendimento di mercato. E' però ovvio che, nell'insieme, tutti gli investitori non potranno mai battere il mercato (che per definizione è la media dei loro rendimenti)
  2. Ogni tentativo di battere il mercato comporta costi legati al trading. Più "scommesse" farò, più sarà impegnativo battere il mercato (mi caricherò, infatti, di costi extra, e quindi dovrò ottenere un rendimento extra anche per compensarli). Dal momento che i rendimenti attesi di tutti gli investitori sono gli stessi (il rendimento di mercato!) il gruppo che si carica di meno costi sarà, in media, quello che avrà i rendimenti più alti: si tratta della gestione passiva.
  3. E' possibile che un fondo batta il mercato in un anno. E' molto difficile che lo faccia per più anni consecutivi. E' quasi impossibile che lo faccia per oltre 20 anni. Ricordatevi che se anche il fondo a gestione attiva che avete "puntato" ha battuto il mercato per 10 anni consecutivi, non vi è alcuna garanzia che lo faccia anche dopo che siete entrati voi. E questo non è un problema di poco conto. Varie ricerche, tra cui quelle di Fama e French,  hanno dimostrato come non vi sia evidenza scientifica della particolare abilità di un gestore e come, invece, i risultati dei fondi che battono il mercato siano statisticamente coerenti con l'ipotesi di un gestore fortunato.
Le commissioni erodono i rendimenti come il mare la spiaggia. Attenzione!

Alla luce di ciò il nostro investitore decide di costruirsi un portafoglio con tre ETF: il primo, a cui dedica il 35% del suo portafoglio, è un ETF a replica fisica su un indice ampio europeo. L'ideale sarebbe avere accesso a un indice di tipo Total Market, possibilità che al momento non è offerta dai vari provider di ETF. Una buona scelta è un fondo su MSCI EMU.
Il secondo consiste nell'unico ETF esistente al momento sull'indice World Ex-Emu: quello di Amundi (isin FR0010756114, ter 0,35%) e che permette di investire su tutti i paesi sviluppati del mondo fuori dalla zona Euro (Usa, Uk, Svizzera, Australia, Canada, eccetera), a cui dedica il 25% del suo portafoglio. In alternativa avrebbe potuto selezionare un ETF su MSCI World, ma ricordandosi di "aggiustare" il peso dell'ETF MSCI EMU, in quanto l'indice MSCI World contiene al proprio interno anche azioni di paesi area Euro. Infine il 10% va su un ETF su mercati emergenti. Anche in questo caso la scelta cade su un indice MSCI: quello MSCI Emerging Markets.

Ora che abbiamo sistemato la parte equity rimane da valutare la parte del portafoglio relativa all'obbligazionario. Dedicheremo al tema un post apposito.
A presto.










mercoledì 20 giugno 2012

Guida all'Investimento - Parte Terza: Azioni o bond per il lungo termine? A voi la scelta...

E così siamo alla terza parte della nostra breve guida all'investimento. (Fate clic per leggere la seconda parte della guida all'investimento nel caso ve la siate persa).

In questa parte affronteremo l'obiettivo più ostico, ovvero la costruzione di un capitale per la pensione. Saltiamo la parte di verifica di sostenibilità dell'obiettivo, abbiamo già ampiamente visto come gestirla.

Supponiamo quindi di dover investire i nostri soldi, 100 mila euro, e di risparmiare la differenza nei prossimi anni. Si tratta quindi di decidere in che modo suddividere i nostri risparmi.

In linea di massima su periodi di tempo lunghi è preferibile un investimento in larghissima parte azionario. Questo per due motivi:
  1. da un lato, storicamente, su periodi di tempo abbastanza lunghi le azioni hanno reso sempre di più delle obbligazioni;
  2. dall'altro lato c'è la teoria economica a supportarci: se, infatti, i rendimenti delle azioni fossero inferiori a quelli di titoli privi di rischio, non vi sarebbero investitori disposti a mettervi i propri soldi. Ma a quel punto vorrebbe dire che non vi sarebbero nemmeno delle aziende, in quanto il rischio di impresa non sarebbe remunerato in maniera soddisfacente. E' abbastanza intuitivo capire come questo non sia possibile nel lungo periodo, a meno che il mondo non si sposti su forme economiche alternative al capitalismo.
Tuttavia non tutti noi siamo uguali. Ci sono persone più propense al rischio e persone meno propense al rischio: ha poco senso costruire un portafoglio perfettamente efficiente dal punto di vista finanziario se poi al primo scossone dei mercati vendiamo in perdita e molliamo tutto. Per questo, in ottica previdenziale o di lunghissimo periodo, è importante capire qual è il livello di rischio tollerabile per noi.

Solitamente il livello di rischio viene misurato dalla volatilità. Ho già spiegato il concetto, a grandi linee, nel post sul rischio finanziario. Una forma che però ritengo di più immediata comprensione è quella del maximum drawdown, in Italiano del calo massimo. Se una classe di investimento ha un calo massimo del 60% significa che dal suo picco massimo al suo minimo ha perso 60 punti.

La differenza è rilevantissima dal punto di vista psicologico: sapere che un indice azionario ha una volatilità del 20% e un rendimento atteso del 5% significa che ho il 95% di probabilità di vedere una variazione tra -35% e +45% in un dato anno. Ma questi sono numeri astratti. Sapere che lo stesso indice ha avuto in passato un calo massimo del 60% significa che posso immaginare la mia reazione davanti a un calo da 100.000 euro a 40.000 di quell'indice.

Io so che prima o poi tornerà verso i 100.000 euro, perchè il suo rendimento atteso è del 5% annuo, ma sarò in grado di mantenere i nervi saldi fino a quel momento e evitare di vendere in perdita?

Questa è la valutazione più importante al momento di definire qualsiasi piano di investimento. Cerco di spiegarmi con qualche dato. Supponiamo che Marco abbia investito i suoi 100.000 euro nel mercato azionario mondiale nel 1999 (useremo l'indice MSCI ACWI, ovvero l'indice che contiene tutti i mercati mondiali). Per motivi di copyright non posso allegare direttamente il grafico, ma potete ricreaverlo direttamente voi stessi a questo indirizzo.

L'acquisto di Marco è di 947 quote a 105,59 a fine gennaio 1999. Il 31 Agosto del 2000 Marco, euforico, vede le sue quote valorizzate a 163,13, corrispondenti a oltre 154 mila euro. Non male eh? Marco non sa, però, che sta per arrivare uno dei più grossi mercati orso di tutti i tempi, con lo scoppio della bolla hi-tech.
Il primo crollo dei mercati porta il controvalore dei soldi di Marco a Marzo 2001 a 120 mila euro.
Il secondo crollo arriva a Settembre 2001 e fa sprofondare il controvalore a circa 103 mila euro. Di nuovo al punto di partenza.

Vista così sembrano movimenti di poco conto, magari... dopotutto siamo ancora in attivo. Non dimentichiamoci, però, che Marco ha perso in un anno ben 50 mila euro! Questo è il concetto, doloroso, del calo massimo! Marco è tentato di mollare tutto, ma decide di perseverare, fiducioso nella risalita dei mercati. Sfortunatamente per lui dopo una flebile ripresa dei mercati a inizio 2002, arriva la terza botta. Nel Marzo del 2003 i risparmi di Marco valgono ormai 72 mila euro. Getta la spugna, davanti a un crollo di circa la metà del valore raggiunto dal suo portafoglio al picco massimo e si posiziona sui rassicuranti Titoli di Stato, appena in tempo per perdersi il Toro che avrebbe riportato i suoi risparmi a un controvalore di 140 mila euro nel 2007. I suoi 72 mila euro si sono tramutati in 579 quote dell'indice dei Titoli di Stato Italiani a Marzo 2003. A Ottobre 2007 le sue 579 quote valgono 83 mila euro, rendendolo ancora più povero di quando ha cominciato ad investire.

Quella di Marco è stata la storia di molti Italiani durante quella bolla speculativa e deriva dalla mancata consapevolezza dei propri limiti psicologici e della pericolosità dei mercati. Specialmente in fasi di borsa rialzista si tende a "dimenticare" che le azioni possono anche scendere! Investire in azioni è necessario per una buona diversificazione del portafoglio, unitamente ad altre classi di investimento, ma è importante capire qual è il livello di rischio che psicologicamente siamo in grado di tollerare!

Facciamo il caso di Sonia, che invece ha investito i suoi 100.000 euro al 60% nell'indice  MSCI ACWI e per la restante parte in Titoli di Stato italiani. A Marzo 2003 il portafoglio di Sonia varrebbe 92 mila euro, contro un valore raggiunto al picco massimo dell'azionario di 133 mila euro. In questo caso il drawdown massimo è stato del 30%. Ancora rispettabile, ma molto più gestibile psicologicamente rispetto al dimezzamento del nostro portafoglio. Infatti Sonia riesce a tenere duro e si ritrova a Ottobre 2007 con 144 mila euro.

Il grafico sotto riassume quanto scritto. L'andamento è molto rettilineo in quanto ho inserito solo i punti citati (non ho ricalcolato i portafogli per tutti i mesi degli 8 anni), quindi non è assolutamente fedele alla realtà nei punti "intermedi".

La differenza finale tra i risparmi di Marco e quelli di Sonia ci mostra quanto sia importante tenere duro e attenersi alla propria allocazione di portafoglio!


E questo ci fa capire anche come la scelta principale da prendere sia proprio la percentuale di azionario rispetto alla percentuale di bond da mantenere in portafoglio.

Un consiglio molto in voga in USA ci consiglia di selezionare la nostra età come percentuale di obbligazionario da mantenere in portafoglio.
Proprio per i motivi sopra esposti non sono d'accordo con questo consiglio. E' importante selezionare una percentuale di obbligazioni che ci permetta di non vendere in preda al panico.

Prendo a prestito un'analisi di Vanguard, casa di gestione americana che segue una filosofia no-profit. Nella sua pagina sui model portfolio ci mostra quale sia stato il crollo maggiore, dal 1926 al 2011, di portafogli con una percentuale variabile di azioni e bond.

Vi riepilogo il tutto in un grafico fatto in casa, mettendovi nell'asse a sinistra i rendimenti (linea verde) e nell'asse a destra la perdita annua massima (linea rossa), mentre nell'asse orizzontale trovate la percentuale allocata in azioni.


Con l'aiuto di questo grafico potete facilmente capire il vostro grado di "tolleranza". Siete disposti a ritrovarvi con il 45% in meno dei vostri soldi in un solo anno? Bene, allora tenete pure il 100% in azioni.
Vi spaventa perderne oltre un quarto invece? Meglio non superare il 50% di allocazione azionaria.

Chiaramente la maggiore sicurezza viene pagata in termini di rendimento. Mentre il rendimento storico del portafoglio interamente azionario è stato vicino al 10% annuo, il rendimento di un portafoglio azionario solo per la metà si è posizionato poco sopra l'8%. Ancora rispettabile, ma quella che sembra una piccola differenza nei rendimenti è invece significativa sul lungo periodo. Ipotizzando di investire 100.000 euro iniziali, ci si ritroverebbe dopo 40 anni con 4,5 milioni di Euro con il portafoglio interamente azionario e con 2,2 milioni di euro con il 50-50.

Come vedete una differenza minima nei rendimenti percentuali raggiunge velocemente volumi significativi: ed è per questo che per i nostri investimenti conviene solitamente selezionare "replicanti". I fondi a gestione attiva possono avere anche costi extra per uno-due punti percentuali rispetto a fondi passivi ed etf e questi costi alla lunga impattano negativamente sulle prestazioni. Anche perchè, ad oggi, non vi è evidenza di nessun gestore di fondi che sia riuscito persistentemente a battere il mercato nel lungo periodo. (per chi mastica l'Inglese.. qua la spiegazione "tecnica" di E.Fama e K.French.)

Anche qualora non siate convinti di adottare uno strumento a gestione passiva e preferiate uno strumento con un gestore che si "sporca le mani" per voi, il criterio per la selezione deve rimanere sempre lo stesso: i costi di gestione.
Non so quanti di voi conoscano Morningstar. Si tratta di una società di analisi dei fondi e dei mercati che è solita classificare i fondi attraverso le loro statistiche passate di rendimento e rischio, assegnando da una a cinque stelle ai fondi esaminati. Ebbene, la stessa società, con grande onestà intellettuale, in uno studio del 2010 riscontrò che il suo sistema di rating (uno dei più popolari al mondo) non era in grado di prevedere i risultati futuri di un fondo tanto accuratamente quanto i costi di gestione. Questo significa che prendendo una categoria di fondi attivi vi erano più possibilità di  avere risultati positivi selezionando un gruppo di fondi con bassi costi di gestione anzichè con 4 o 5 stelle Morningstar.

Chiaramente non è tutto così semplice. Ci sono altri criteri nella selezione di un fondo attivo che bisogna tenere in considerazione: la "storia" del gestore e del fondo (gestori pessimi tendono a confermarsi tra i pessimi. non è così per quelli "bravi", purtroppo), la dimensione  (fondi troppo piccoli hanno solitamente maggiori rischi di "morire" assorbiti in altri fondi. Fondi troppo grandi soffrono invece dell'impatto delle loro operazioni di trading che gli precludono le azioni meno conosciute) e la struttura commissionale sono sicuramente elementi da valutare.

Torniamo però al nostro obiettivo: costruirci il capitale di 400 mila euro per la pensione (sufficiente a garantirci, ad oggi, una rendita assicurativa reversibile di  circa 16.000 euro lordi annui al pensionamento).

Abbiamo una buona tolleranza al rischio, e decidiamo quindi di posizionarci su un portafoglio azionario al 70%. Il passo successivo è determinare quali strumenti utilizzare per posizionarsi all'interno di questa parte azionaria e come "riempire" il 30% di obbligazionario.

Vedremo il tutto in un prossimo post... Vi aspetto per la IV parte della Guida all'investimento.

giovedì 14 giugno 2012

Ragionare a breve termine: i problemi dei consigli del Corriere ai risparmiatori

Ieri è uscito un articolo di Giuditta Marvelli sul Corriere.it contenente delle linee guida per i piccoli investitori. Parto subito dicendo che, per una volta, i consigli non sono completamente sballati, anche se qualche problema di coerenza in giro per l'articolo si trova.

Il problema principale, a mio parere, è già nell'incipit.

L'articolo riporta:


Clock face, di Ubzecka
"Dare consigli vincenti a chi si chiede che cosa fare dei propri risparmi è impossibile. Le previsioni in campo finanziario sono sempre incaute, ma in questo momento c'è un intero sistema economico e monetario che non sa ancora che cosa fare del suo futuro. Difficile immaginare una situazione più incerta.
Nelle poche righe qui sotto non ci sono ricette (nessuno le ha e chi dicesse di averle bara), ma un tentativo di interpretare i numeri e la realtà.

Dalla liquidità alle Borse passando per le obbligazioni, ecco che cosa si può fare per costruire un portafoglio che possa passare attraverso la bufera senza farsi troppo male."

L'idea di dover costruire un portafoglio ex-novo e ad-hoc per questa bufera mi sembra figlia di un'ottica di ragionamento nel breve periodo che deve essere del tutto estranea alle logiche dell'investitore.


Come visto nella guida all'investimento è fondamentale per l'investitore dotarsi innanzitutto di un piano di investimento credibile e poi costruire un portafoglio con strumenti adeguati a raggiungere i propri obiettivi. 


Cambiare il proprio portafoglio solo perchè c'è crisi sarebbe come vendere la casa perchè tanto c'è il sole. Le crisi sono parte del normale ciclo dei mercati e non bisogna farsi sopraffare dalla paura o dall'euforia, a seconda del momento.


Solo qualora non avessimo un portafoglio costruito secondo questi criteri dovremmo valutare ex-novo la costruzione del portafoglio. E in questo caso consideriamo un attimo i consigli dati nell'articolo.
Corretto evidenziare come i conti deposito, al momento, riescano a malapena ad offrire un rendimento reale positivo e segnalare come su di essi sia operativa la garanzia del FTID fino a 100.000 euro a depositante.

Il consiglio di incrementare le quote nei BTP qualora si "creda" nel recupero dell'Italia è a mio parere un po' azzardato. Nessuno può sapere come andrà a finire questa crisi e, sinceramente, credo che ciascuno di noi sia già abbastanza esposto verso lo Stato Italia attraverso titoli, fondi comuni, fondi pensione (o TFR all'Inps..) e per la semplice cittadinanza. Non aggiungerei, al momento, un ulteriore carico rispetto a quanto già in "pancia".

Più condivisibile il consiglio di orientarsi verso i porti sicuri, almeno per una parte dei bond: è vero che i rendimenti reali sono negativi per i Titoli di Stato tedeschi, ma è anche vero che al momento sono quelli il cui pagamento è più sicuro. La vedrei in questo modo: se le cose vanno a rotoli e si torna alle valute nazionali o a due valute (Euro-crucco e Euro-med) avere dei Bund ci garantisce di mantenere una parte dei nostri risparmi non svalutata. Se le cose dovessero riprendersi subiremmo una perdita di qualche punto percentuale, ma che sarebbe ampiamente compensata dalla risalita dei corsi azionari.



Assolutamente contrario, invece, a inseguire una diversificazione valutaria attraverso acquisti di titoli norvegesi, americani o britannici. Se è vero che i cambi tra euro e valute "satellite" sono rimasti abbastanza stabili, nessuno può realmente essere certo che questa stabilità rimanga nel tempo. Se le cose dovessero risolversi positivamente il rischio è quello di vedere una forte riduzione dei corsi valutari che si potrebbe andare a sommare alla diminuzione dei corsi dei titoli obbligazionari in quanto non più necessari come bene rifugio.
Ancora più azzardato andare ad acquistare titoli in dollari (non dimentichiamoci che gli USA hanno un deficit mostruoso e un debito pubblico che sta lievitando a vista d'occhio) o in sterline (il Regno Unito è messo più o meno come gli Stati Uniti, ma è pure in recessione).
Per la diversificazione valutaria credo che sia preferibile il mercato azionario.


Nota di merito, invece, per il consiglio su ETF obbligazionari. Non è cosa di tutti i giorni trovare questo consiglio su un quotidiano nazionale. Brava. Peccato che poi cada nell'errore di consigliare singoli titoli per quanto riguarda l'azionario.

In realtà gli ETF hanno molto più senso per quanto riguarda l'azionario che non l'obbligazionario. Il loro basso costo, infatti, li mette in una forte posizione di vantaggio nei confronti dei vari fondi a gestione attiva esistenti. Inoltre il piccolo investitore non ha le competenze per permettersi di lanciarsi in stock-picking di qualche titolo.

Condivisibili invece altri 2 consigli: quello di investire quando gli altri paiono scappare (di solito è così che si gettano le basi per rimbalzi anche del 30%) e quello di investire nel maggior numero di aree possibili. E' il vecchio mantra della diversificazione che, abbiamo visto nella seconda parte della guida all'investimento, è molto efficace.


Quello che non condivido, in questo caso, è invece il consiglio a puntare su cavalli che fino ad ora hanno tenuto bene (Usa, Paesi emergenti..). Nessuno sa cosa faranno i mercati azionari, meglio stabilire delle percentuali di allocazione con cui ci sentiamo a nostro agio e investire a prescindere da qualsiasi considerazione sui livelli dei corsi azionari, sempre in ottica di lungo periodo.



martedì 12 giugno 2012

Guida al Processo di Investimento. Parte seconda - La Diversificazione

Eccoci alla seconda parte di questa breve guida per chi è ai primi passi nel mondo finanziario.

Nella prima parte della nostra guida all'investimento abbiamo affrontato le condizioni necessarie al fine di poter investire, nell'ordine:
  1. Riuscire a risparmiare
  2. Aver estinto i propri debiti con TAEG superiore al 10%.
  3. Aver costituito un fondo per le emergenze.
  4. Aver definito degli obiettivi realizzabili.
Mentre i primi tre punti riguardano essenzialmente i prerequisiti per diventare un investitore, il quarto punto è la base di partenza di quello che sarà il nostro piano di investimento.

Torniamo alla prima parte della nostra guida all'investimento e recuperiamo gli obiettivi che ci eravamo posti:
  1. 15 mila euro per l'auto nuova tra tre anni.
  2. I soldi per l'anticipo del bilocale di nostro figlio pari a 28 mila euro.
  3. 400 mila euro di capitale per la nostra pensione.
Supponiamo di aver già da parte circa 10 mila euro in contanti per l'auto... abbiamo bisogno di risparmiare? Torniamo al nostro calcolatore per i rendimenti e facciamo un esperimento: mettiamo nel primo periodo un investimento di 10 mila euro e tra tre anni un incasso di 15 mila. Il rendimento richiesto è il 14%, davvero troppo alto per poter essere realizzabile. Dobbiamo quindi risparmiare qualcosa. Se mettiamo da parte 75 euro al mese avremo bisogno di un rendimento di circa il 6% per arrivare ai 15 mila euro che ci servono.

Questo rendimento è realistico? Sappiamo che è all'incirca il rendimento storico delle azioni, ma le azioni sono volatili: questo significa che potremmo anche essere sfortunati e subire un crollo delle quotazioni prima della nostra scadenza. Non si tratta davvero di un investimento appropriato. Dobbiamo per forza orientarci su investimenti "sicuri". Supponiamo di prendere in considerazione un btp, un buono postale e un conto deposito.

Con un controllo veloce dell'ottimo sito http://www.rendimentobtp.it/ vediamo che un btp della scadenza che ci interessa (circa 3 anni) ha un rendimento di circa il 3,80%.

















Per quanto riguarda, invece, i buoni postali facciamo riferimento al sito della Cassa depositi e prestiti. Come vediamo dalla scheda informativa i buoni plus a 3 anni rendono il 3,30% netto.

Infine, da un controllo del monitor rendimenti dei conti deposito italiani su finanzaonline vediamo che i depositi vincolati a 24 mesi ci garantiscono un tasso (lordo) tra il 3,75% e il 5,20%. Decidiamo che fa al caso nostro un conto deposito svincolabile (in caso di necessità sopraggiunte) e possibilmente di una primaria banca nazionale. Scegliamo quindi Cash Park svincolabile che ci garantisce un 3,75% lordo, che si tramuta in un 3% netto.

Come possiamo ben vedere, un rendimento realistico oscilla tra il 3% e il 3,8%. Decidiamo di porci in mezzo, e rifacciamo la nostra simulazione con un tasso netto del 3,4% (dobbiamo considerare che non riusciremo a investire tutto nel btp: il taglio minimo di 1.000 euro, infatti, ci impedirà di acquistare con i nostri 75 euro un btp al mese e quindi di beneficiare del relativo tasso. Dovremo per forza ripiegare su buono postale o conto deposito: da qui l'ipotesi di un rendimento "mediato"). Vorrà dire che dovremo risparmiare 103 euro al mese, e avremo a Giugno 2015 la nostra nuova auto, senza fare un centesimo di debiti!

Decidiamo, quindi, di spartire i nostri 10 mila euro iniziali tra btp e cash park di Fineco. Mentre i primi hanno un rendimento superiore, il secondo ci garantisce un "cuscinetto" extra contro eventuali imprevisti, grazie alla sua svincolabilità senza penali. Con la quota mensile di risparmio decidiamo di investire nel conto deposito o nei buoni postali, a seconda delle preferenze. Anche il buono postale ci permette di svincolare i soldi in qualsiasi momento, e ha un taglio minimo molto basso (50 euro). Tuttavia, quello preso in esame in questo post non corrisponde interessi se rimborsato prima della scadenza: si tratta di un vincolo abbastanza pesante per uno 0,3% in più rispetto a Cash Park. Va però ricordato che mentre Fineco è garantita da un consorzio bancario attraverso il fondo interbancario a garanzia dei depositi, la garanzia nei confronti dei buoni postali è diretta e dello Stato Italiano.

Passiamo quindi al secondo nostro obiettivo: risparmiare in 15 anni i 28 mila euro per l'anticipo sulla casa. Abbiamo già verificato nella prima parte della guida all'investimento che il tasso sia realistico. Tralasciamo quindi questa parte.


Si tratta quindi di decidere come investire i nostri soldi per i prossimi 15 anni. E' la parte più difficile dell'intero processo, in quanto bisogna fare i conti con le nostre convinzioni, con le nostre paure e con la realtà che spesso potrebbe portarci a dover fare scelte su cui non siamo completamente sicuri.

Il rendimento che ci serve è superiore a quello di titoli completamente privi di rischio con scadenze simili.  Dobbiamo appoggiarci alle azioni.
Cominciamo con l'introdurre il più grosso alleato dell'investitore, probabilmente l'unico in finanza che presenta solo benefici senza ricadute negative: la diversificazione. Di che si tratta? Diversificare vuol dire investire i propri soldi in più classi di investimento, in maniera tale da "esporsi" ai risultati di tutte loro e, di conseguenza, di annullare i movimenti di una classe con quelli di un'altra, ottenendo un risultato generalmente positivo.

Vediamo un esempio con l'aiuto di un grafico. Supponiamo di aver investito l'11 giugno 2009 nell'indice MSCI EMU, che rappresenta l'andamento delle borse dell'Eurozona.

Dopo 3 anni la situazione è esattamente questa:

Si nota subito come i livelli iniziali e finali siano abbastanza vicini tra loro. Per la precisione, il livello dell'indice l'11 giugno 2009 era 76,32. Quello dopo 3 anni è pari a 70,20. Si tratta di un -8%. Se avessimo investito 1.000 euro tre anni fa, ora ne avremmo 920.


Ma come ci può aiutare la diversificazione? Vediamo un grafico dove ho inserito anche l'indice MSCI USA, che rappresenta le aziende medio-grandi quotate a Wall Street, rappresentato dalla linea verde. (Nota: fate clic sul grafico per vederne una versione ingrandita)


Come si può vedere, l'andamento dell'indice Americano è stato ben più favorevole nel frattempo. La linea verde termina esattamente a metà tra il +25% e il +50%. Per la precisione, l'indice aprì l'11 giugno 2009 a un livello di 899,18 e ha chiuso dopo 3 anni a 1.264,65, con un buon +41% circa. Non male no? Cosa sarebbe successo se avessimo investito 500 euro su entrambi gli indici? Ora avremmo 705 euro per la parte USA, e 460 per quella Euro per un totale di 1.165 euro, pari al 5,21% annualizzato. Iniziamo a vedere gli effetti benefici della diversificazione.

Facciamo un ulteriore passo avanti, introducendo nel confronto anche l'indice dei Bond governativi eurozona, un indice che contiene tutti i bond che rispettano requisiti minimi di liquidità e volume. Stiamo quindi includendo un indice che contiene bond di Germania, Francia, Olanda, ma anche Spagna, Italia e (fino a qualche mese fa) Grecia e Portogallo! Non stiamo quindi scegliendo un "terreno favorevole", ma un indice che chiunque, privo di conoscenze particolari, avrebbe potuto acquistare. Nel grafico è contraddistinto da una linea arancione.

In questo caso l'indice aprì l'11 giugno 2009 al livello di 171,32 per chiudere dopo 3 anni a 196,30, con una performance del +15% circa (complessivo). Cosa sarebbe successo se avessimo investito i nostri soldi in tre parti uguali? I 333 euro messi sull'indice dei Titoli di Stato si sarebbero tramutati in 382,95 euro. Lo stesso importo in azioni USA si sarebbe tramutato in 469,53 euro. Infine, i restanti 334 euro messi nelle azioni area Euro sarebbero diventati 306,36 euro ottenendo un risultato complessivo pari al +5,03%, pari a 1.158 euro alla fine del periodo.

In questo caso abbiamo ridotto il nostro rendimento, ma non dobbiamo sottovalutare un ulteriore vantaggio ottenuto: tra il picco del 22 luglio 2011 e il minimo del 29 settembre 2011, infatti, i due indici azionari persero il 21% (euro) e il 16% (USA). Se ripensiamo al nostro investimento iniziale vuol dire un calo di circa 200 euro in pochi mesi! L'inclusione dei bond invece ci avrebbe permesso di limitare il calo a circa 120 euro per queste due componenti, ma anche di compensare il calo con un +4% dei bond, pari a una diminuzione di 105 euro circa dell'intero portafoglio.

E' vero quindi che abbiamo avuto un rendimento leggermente più basso, ma ci siamo arrivati con  meno "scossoni" rispetto alla seconda ipotesi: questo ci fornisce un vantaggio dal punto di vista psicologico, indubbiamente.

La diversificazione non si limita solo alle classi di investimento. Diversificare è importante anche nella scelta dei titoli: a meno che non abbiate qualità di selezione dei titoli fuori dal comune, o che non abbiate informazioni che gli altri non hanno, investire in un singolo titolo azionario vi espone al rischio di risultati molto divergenti da quelli dell'indice sottostante.
Tornando all'indice dell'eurozona scopriamo che nell'anno il suo livello è variato tra 63.38 e 91.87, con un rendimento a un anno di circa il -20%.  Ma i singoli titoli dell'indice cosa hanno fatto?

Mediaset ha fatto circa un -60%, Exor (la holding di FIAT) -22%, Finmeccanica -63%, Enel Green Power -40% circa, Luxottica +25%, Atlantia -27%, Telecom Italia -18%, Terna e Saipem -10%, ENI +7%, Enel -42%.

Ho volutamente preso titoli Italiani abbastanza conosciuti e che quindi potrebbero essere stati acquistati da qualsiasi piccolo investitore. Se fossimo stati fortunati avremmo potuto investire in Luxottica e Eni, chiudendo in positivo. Se fossimo stati sfortunati avremmo potuto investire in Mediaset e Finmeccanica.

Il vantaggio di investire in un ampio indice è invece quello di ottenere un risultato "medio" che ci mette al riparo da risultati "a sorpresa".

Tenendo a mente tutto questo, decidiamo di investire esattamente nei 3 mercati che abbiamo individuato (Titoli di Stato area Euro, Azioni area Euro, Azioni USA).  Ma con quali prodotti esattamente? E con quali proporzioni? Terrò la risposta per la terza parte di questa guida, anche in considerazione del fatto che questo post sta diventando davvero troppo lungo.

Prima di chiudere però, voglio tornare su altri due aspetti molto importanti: il monitoraggio del piano e la predisposizione di un "piano B" nel caso qualcosa andasse storto.

Supponiamo, infatti, che al 10° anno valutiamo che, grazie alla risalita delle borse, sia possibile raggiungere il nostro obiettivo con un rendimento del 2% nei prossimi 5 anni. Sappiamo che i Titoli di Stato a 5 anni rendono il 3%. Non ha alcun senso continuare a mantenere un'esposizione azionaria, e dovremmo vendere i 2 indici azionari e acquistare Titoli di Stato con data di scadenza pari alla data stimata della nostra passività.
Ricordiamoci sempre che lo scopo dell'investimento è quello di soddisfare esigenze future! Non prendiamo rischi non necessari.

Se invece, dopo lo stesso periodo, fossimo consapevoli che il rendimento ottenuto ci potrebbe rendere impossibile raggiungere il nostro obiettivo, dovremmo avere un piano B da mettere in atto. Un piano del genere potrebbe contenere le seguenti azioni:
  1. Uscire una volta in meno al fine settimana per alzare il risparmio.
  2. Vendere la seconda auto che potrebbe fruttarci 3.000 euro.
  3. Mandare il figlio a fare qualche lavoretto e costringerlo a tenersi da parte i soldi per il futuro.
Tutte cose relativamente semplici e facili da realizzare che possono però permetterci di far fronte a eventuali turbolenze dei mercati finanziari.

Nella terza parte del post vedremo la parte più difficile: come scegliere i propri strumenti e come valutare i nostri investimenti di lunghissimo periodo.

mercoledì 6 giugno 2012

Guida al Processo di Investimento. Parte Prima.

Faccio un passo indietro rispetto agli ultimi post che ho pubblicato.
Mi sono reso conto che forse sono partito mettendo un po' il carro davanti ai buoi... va bene parlare di rischio, di rendimento e così via, ma per qualcuno davvero alle prime armi può essere difficile rispondere anche alle domande di base: quanto e quando dovrei investire?

Le Penseur, di Rodin, in una foto di Chez Essay
Chiariamo innanzitutto quello che intendo io per investimento: l'investimento per me è cercare di far fruttare i propri risparmi in un'ottica di consumo di lungo periodo. Che siano gli anni nei quali si sposerà un figlio, nei quali pensiamo di comprarci la nostra prima casa o che sia a fini pensionistici io vedo il processo di investimento come qualcosa che deve essere affrontato con la giusta pazienza e perseveranza.

Un orizzonte di 1-2 anni non richiede investimenti, ma pone problemi di gestione della liquidità, che è ben diverso.
 
Partiamo dalla domanda "Quando devo investire?".
Per quanto la risposta sia banale, per investire è necessario riuscire a risparmiare. Se per qualsiasi motivo non riusciamo a risparmiare allora il primo obiettivo dev'essere quello di mettere sotto controllo i costi, cercando un equilibrio che ci lasci un margine di risparmio per il futuro.

Prima di poter investire in ottica di lungo periodo, però, è necessario crearsi un cuscinetto contro le traversie e gli imprevisti che ci possono capitare. La vita è piena di imprevisti. Un guasto improvviso all'auto, la rottura di un tubo in casa o un furto subìto possono farci smobilizzare investimenti in perdita o portarci all'indebitamento. E' sempre meglio evitare di indebitarsi per quanto possibile, e avere a disposizione un fondo per le emergenze equivalente ad almeno 6 mesi di spese è fondamentale, meglio se pari ad un anno.

Ancora più importante è non investire se prima non si sono chiusi tutti i debiti più costosi: carte di credito revolving, prestiti al consumo con taeg superiori al 10% e simili vanno azzerati quanto prima. Diverso il discorso per i finanziamenti personali a tassi minori  (bisogna valutare le proprie esigenze) e i mutui (che a seconda del momento possono anche costare meno di investimenti "sicuri").

La prossima domanda è "Quanto devo investire?". Una volta messi sotto controllo i costi e ottenuto un risparmio mensile, possiamo decidere di destinare una quota di quel risparmio all'investimento di lungo termine. A seconda delle esigenze, questa quota sarà tra il 50% e l'80% del nostro risparmio. Sarà importante garantire ogni mese almeno una certa somma da investire (200 euro? 150? 500?) ed essere costanti nel suo accantonamento.

Il passo successivo sarà quello di definire gli obiettivi dell'investimento. Per cosa stiamo investendo? Vogliamo garantirci una pensione tranquilla con i nostri capitali? Vogliamo costruire una grossa eredità per i figli? Costruiamoci un piano di investimento, anche di poche righe, partendo dagli obiettivi:
  1. Mi servono 15 mila euro per la nuova auto tra 3 anni.
  2. Voglio accantonare abbastanza per comprare una casa a mio figlio quando avrà 25 anni (cioè tra 15 anni)
  3. Voglio mettere da parte 400 mila euro per la mia pensione.
Qualsiasi cosa sceglierete è importante che gli obiettivi siano realizzabili. Riuscire ad accantonare 1 milione di euro tra 40 anni risparmiando 100 euro al mese vorrebbe dire ottenere un rendimento annualizzato di circa il 12%! Porsi un obiettivo troppo sfidante potrebbe costringerci a prendere rischi troppo elevati.

Una volta scelto l'obiettivo bisogna capire come raggiungerlo: nell'esempio precedente la cosa migliore da fare per l'auto è ragionare in ottica di gestione della liquidità, acquistando titoli sicuri o mettendo i soldi in conti deposito fino all'acquisto dell'auto. Per raggiungere il secondo e il terzo obiettivo bisogna determinare il rendimento atteso implicito nella nostra ipotesi.
Come fare?

Supponiamo di voler comprare a nostro figlio un bilocale che, nella nostra cittadina, costa 140.000 euro. Decidiamo che possiamo destinare a questo obiettivo 100 euro al mese per i prossimi 15 anni. Seguite il link a questo calcolatore di TIR online (Tasso Interno di Rendimento).

Compiliamo la tabella scegliendo 15 flussi di cassa, e mettendo in ognuno dei primi 14 il nostro investimento, pari a 1.200 euro. Nell'ultimo flusso di cassa, tra le entrate, mettiamo il valore del bilocale che pensiamo di comprare.
Se avete fatto tutto correttamente, dovreste vedere questo risultato:













































L'ultimo numerello è quello che ci interessa. Significa che per riuscire nel nostro intento dovremmo ottenere un rendimento annualizzato del 23% circa. A titolo di paragone basti sapere che il rendimento medio delle azioni è stato intorno a un 6% in termini reali nel corso dell'ultimo secolo, con i rendimenti dei bond staccati di alcuni punti percentuali.

A questo punto possiamo concludere che il nostro obiettivo è irrealizzabile! O aumentiamo la quota di risparmio o diminuiamo l'importo che siamo disposti a concedere a nostro figlio, che dovrà rassegnarsi a fare un mutuo per la parte restante!

Ma qual è un rendimento ragionevole per i nostri soldi? E' difficile rispondere, perchè i rendimenti passati non sono garanzia di rendimenti futuri. Quindi, pur avendo dati per un periodo storico abbastanza ampio (circa dal 1920) non si è in realtà in grado di stabilire quale sia un rendimento accettabile, anche alla luce dei mutamenti economici che il mondo sta vivendo in questi decenni.

Personalmente credo sia ragionevole utilizzare come stima il rendimento a 10 anni di uno dei "portafogli pigri" di MarketWatch. Tornerò in altri post su questi portafogli, ma per il momento ci basta sapere che si tratta di portafogli creati per chi ha un orizzonte di investimento di lungo periodo e che prevedono l'acquisto di molte classi di investimento (da 4 a 10), garantendo una buona diversificazione nel tempo. Tali portafogli pigri sono però tutti tagliati sull'investitore Usa. Che io sappia non è ancora disponibile in rete l'equivalente Europeo, ma nei prossimi post proverò a "convertirne" qualcuno dei più famosi.

Per una maggior cautela sceglierei come rendimento quello peggiore del gruppo che, al momento in cui scrivo, è del 5% circa. Facendo qualche esperimento con il calcolatore si nota che con un rendimento del 5,35% e un investimento di 100 euro mensili possiamo garantire a nostro figlio un anticipo di 28000 euro sulla sua casa. In alternativa, con lo stesso rendimento del 5,35%, avremmo bisogno di accantonare 500 euro al mese per 15 anni per potergli comprare la casa che desidera.

Se avete a disposizione Excel il calcolo diventa infinitamente più semplice: la funzione da utilizzare è TIR.X e attraverso lo strumento "Risolutore" potrete definire gli obiettivi e lasciare a Excel il compito di trovare i numeri esatti che soddisfano l'equazione.

Per il momento ci fermiamo qui: nella seconda parte del post vedremo quali sono i prossimi passi:
  1. Definire un livello di rischio per noi tollerabile
  2. Creare il nostro portafoglio.
Stay tuned!

lunedì 4 giugno 2012

Vendere a Maggio... una strategia valida?

Pochi giorni fa al TG, ho sentito dire che a maggio il FTSE MIB ha perso oltre il 12%.
Mi è subito venuto in mente uno dei vecchi motti degli investitori anglosassoni: "Sell in May and go away", che tradotto sarebbe "Vendi a Maggio e vattene".


Si tratta di un vecchio adagio che trae fondamento dal fatto che un investitore che vendesse le sue azioni a Maggio e le ricomprasse a Ottobre (Halloween Strategy) avrebbe fatto in media meglio di uno stesso investitore che comprasse in Maggio e vendesse in Ottobre.

Ci sono due studi abbastanza famosi su questo: uno è quello della società Ned Davis Research, che partendo da un investimento di mille dollari nel 1950 e arrivando a marzo 2012 ha calcolato che un investitore che avesse seguito la regola con lo S&P 500 avrebbe generato $75.000 circa vendendo a maggio e ricomprando contro i $1.032 ottenuti nel periodo opposto.

Numeri abbastanza convincenti? Aggiungo anche il link a uno studio di Bouman e Jacobsen aggiornato a dicembre 2002. Alla data dell'analisi degli autori si può notare come il rendimento medio dal 1970 al 1998 per l'Italia in estate sia stato del -4%. Quello invernale di circa il 13%
In particolare, a pagina 16 del pdf troverete un'immagine che mostra la differenza nella ricchezza accumulata dall'ipotetico investitore Italiano rispetto al suo gemello che si affida al "Compra e Mantieni":
Ricchezza maturata nel 1996 da un investotire che abbia seguito la regola dal 1973 al 1996.

Come si può notare il nostro ipotetico investitore sarebbe circa 6 volte più ricco.

Abbiamo trovato l'uovo di Colombo allora? Non esaltatevi prima del tempo: lo stesso articolo citato in precedenza aggiorna il conteggio della Ned Davis Research includendo 2 cose: l'investimento nei titoli di stato a breve mentre non si è investiti e il reinvestimento dei dividendi.. ebbene, il risultato è che  dal 1926 ad oggi seguendo la Halloween Strategy avrebbe ottenuto un più 8,4% e contro un più 5,1% dell'investitore che avesse fatto il contrario. Ma quel che emerge è che in realtà l'investitore che avesse semplicemente continuato con il suo B&H avrebbe ottenuto un +10% complessivo.

Come è possibile dunque che lo studio dei due autori citati prima non abbia considerato questi due semplici aspetti? Non è così: in realtà è considerato sia il reinvestimento dei dividendi, sia l'investimento in titoli di Stato a breve. E come per molti studi in finanza, scegliendo l'opportuno periodo è possibile dimostrare qualsiasi cosa si voglia.

Ci sono in realtà alcuni motivi abbastanza intuitivi per i quali non sono convinto di questa strategia (e di molte altre):
  1. Se una strategia funzionasse veramente aumenterebbe sempre di più il numero di persone che vi fanno ricorso. Questo porta inevitabilmente a una riduzione della sua efficacia. Immaginate che il 90% degli investitori seguisse questa regola: i prezzi scenderebbero talmente in basso a maggio (quando bisognerebbe vendere) che le perdite per chi vende sarebbero ingenti, e bisognerebbe ricomprare a Ottobre. A quel punto la domanda sarebbe tale da comportare un brusco aumento dei prezzi... in pratica si comprerebbe alto e si venderebbe basso. Non suona molto logico
  2. Vendere e comprare in continuazione ci porta a pagare le imposte. Se io muovo poco il mio portafoglio, invece, posso decidere quando pagare le tasse. Questo significa che con una strategia che mi consente di rimanere investito posso far sì che i soldi che dovrei allo Stato come imposta maturino altri interessi. Certo, prima o poi li pagherò, ma a quel punto avranno generato ulteriori guadagni che torneranno a mio vantaggio.
  3. Vendere e comprare in continuazione fa felici le banche grazie alle commissioni. Meglio evitare di farle troppo contente ;)

Alla fine si torna sempre al punto di partenza. Il modo migliore, a mio parere, per tenere sotto controllo il rischio è quello di non investire in classi di investimento rischiose più di quanto non possiamo permetterci di perdere e di controllare il nostro investimento solo per mantenere costante il livello di rischio.





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