Guida all'investimento: Prima parte - Quando investire e come definire gli obiettivi.

Prima puntata della guida per capire quando investire, dove investire e su cosa investire.

Guida all'investimento: La Diversificazione

In questo post analizziamo l'importanza della diversificazione per il nostro portafoglio.

Guida all'investimento: Quarta Parte - Quali strumenti utilizzare per l'Azionario?

In questo post cerchiamo di capire come orientarci tra i vari strumenti disponibili

Come si seleziona un fondo?

Scopri i criteri fondamentali per la selezione del tuo fondo attivo.

Lazy Portfolio

Semplicità e buoni rendimenti. Scoprili.

mercoledì 27 novembre 2013

I costi di un fondo, incidono sui rendimenti?

Tra i vari modi di investire disponibili per un piccolo investitore, avrete capito che quelli preferiti da me sono quelli che garantiscono la maggior diversificazione possibile: fondi comuni ed etf quindi sono due strumenti che secondo me devono essere ben presenti nell'arsenale dell'investitore.

In questo post vorrei concentrarmi sui primi, i fondi comuni.

Chi più spende...

... meno spende.  Questo almeno è quello che recita un noto proverbio e, per certi versi, per molti acquisti nella nostra vita è vero. Probabilmente acquistare un elettrodomestico scadente ci porterà a cambiarlo prima. Comprare vestiti scadenti farà sì che si rovinino e diventino impossibili da portare prima di quel che farebbero vestiti di maggiore qualità.

E in finanza?

Proviamo a capirlo.
Prendo ad esempio la categoria dei bilanciati moderati globali (in euro) di Morningstar.
Il grafico sottostante mostra nell'asse orizzontale il costo del fondo, espresso dal TER, mentre nell'asse verticale mostra i rendimenti del fondo preso in esame nell'arco degli ultimi 5 anni.


Come si evince dal grafico c'è una generale tendenza a rendimenti più alti quando il TER rimane più a sinistra nel grafico.

Se mettiamo i dati in tabella questa tendenza appare immediata

Rendimento a 5 anni
Ter del FondoMedioMinimoMassimo
Da 0 a 15,683,647,72
Da 1 a 27,14-0,8211,07
Da 2 a 37,401,1011,97
Da 3 a 46,162,057,62
Da 4 a 53,823,743,89
Da 6 a 7-0,55-0,55-0,55

I fondi con TER da 0 a 1 non sono (sorprendentemente) tra i primi per rendimento medio, ma va detto che il campione è limitato a pochissimi fondi e mi sentirei di sospendere il commento.

I fondi con TER tra 1 e 2 e tra 2 e 3 presentano rendimenti simili e una dispersione paragonabile.

Andando oltre si nota come i rendimenti medi si abbassino e anche nel caso si ottenesse il rendimento massimo della categoria si è comunque al di sotto del rendimento medio delle due categorie precedenti.

Quindi?

Questa breve analisi non vuole avere la pretesa di essere una pietra miliare della finanza.
Vuole però porre l'attenzione su un aspetto spesso trascurato nella selezione dei fondi comuni: il costo è un elemento importante per le performance dei nostri fondi.

Spesso non è vero che un fondo con spese maggiori ci porti anche manager più bravi.

D'altro canto concentrandosi su fondi poco costosi si migliorano le possibilità di avere rendimenti migliori rispetto alla categoria.

Approfondirò ulteriormente la questione in futuro in altri post, anche perché la categoria, pur essendo di grande interesse per il piccolo risparmiatore, non presenta una numerosità tale da essere statisticamente significativa.

Inoltre in questa breve analisi non ho corretto i rendimenti per il rischio, cosa che invece sarebbe opportuno fare.

Se l'argomento vi interessa continuate a seguire il blog!




mercoledì 20 novembre 2013

Confronto BFPI-BTP Novembre-Dicembre 2013

Ciao,
come forse i più attenti tra voi avranno notato nel mese precedente non ho aggiornato il confronto tra i rendimenti dei buoni postali indicizzati all'inflazione e i btp (in senso ampio)

Anche per questo mese il confronto non sarà pubblicato per un motivo molto semplice: i tassi dei buoni postali e dei btp non si sono mossi in maniera significativa.
D'altro canto l'inflazione rimane sotto controllo e, anzi, sembra iniziare a preoccupare l'ipotesi di uno scenario deflazionistico (dal quale i Bfpi comunque proteggono)

Rimane pertanto valido quanto scritto nell'ultimo commento.

Per comodità vostra allego il link diretto.

Confronto BFPI-BTP Settembre-Ottobre 2013

A dicembre, nella speranza che la CDP si schiodi finalmente da questo 1%.

mercoledì 13 novembre 2013

Gestire il portafoglio: i lazy portfolio

Molto spesso quando si pensa ad investire si ha una strana paura che ci porta a pensare che investire è complesso, richiede tempo, analisi infinite, previsioni sull'andamento dei mercati...

In pratica pensiamo che senza un professionista sia impossibile. Bene, la notizia di oggi è che non è così.

I Lazy Portfolio


La foto mostra Homer Simpson, icona della pigrizia!

Cos'è un lazy portfolio? La traduzione letterale è quella di portafoglio pigro.
Ma perché si chiama così?
Perché lo scopo principale di questi portafogli è quello di offrire rendimenti decenti nella maggior parte delle condizioni di mercato, impiegando un basso numero di fondi e senza dover necessariamente intervenire sulla loro composizione più di una volta all'anno.

Sembra abbastanza semplice no?

I rendimenti

La prima reazione che hanno le persone a cui spiego questo semplice concetto è sempre la stessa: "eh, ma così chissà come saranno i rendimenti... senza un gestore..."

Premetto che questi portafogli sono composti da varie asset class, quindi per confrontarne i rendimenti bisogna selezionare fondi bilanciati (o un opportuno mix di vari fondi attivi oppure il vostro investimento "tradizionale" in azioni e singoli titoli obbligazionari).

Vi sono alcuni portafogli proposti da importanti autori USA che sono monitorati giornalmente dal sito Marketwatch.
Il sito monitora 8 portafogli di ETF e ne riporta il rendimento a 1-3-5-10 anni.

Se seguite il link che vi ho fornito vedrete che a 10 anni il rendimento di questi portafogli oscilla tra il 6,75% e il 7,81% (alla data in cui scrivo questo articolo, 12 novembre 2013).

Andando su Morningstar (versione USA) e selezionando i fondi bilanciati moderati (visto che gran parte dei portafogli monitorati da MarketWatch hanno una percentuale di azionario intorno al 60%) quali sono i risultati?

Nella categoria i fondi che sono stati attivi per oltre 10 anni nella categoria sono 426 secondo Morningstar US.

Alla data del 12 novembre 2013 solo 121 fondi hanno un rendimento superiore al 6,75%, pari a un 28% del totale dei fondi attivi. Quello che sembra già un buon risultato è ancora migliore se si considera che nel frattempo molti dei fondi che non hanno avuto successo sono già stati chiusi o fusi all'interno di altri fondi.

Vediamo se mi sono spiegato... in pratica un piccolo investitore avrebbe potuto replicare uno qualsiasi di questi portafogli di ETF e fare meglio del 70% circa dei professionisti.

Non male no?

Chiaramente statistiche di questo tipo sono sempre influenzate dal momento in cui si effettua l'analisi. E' possibile che tra 2-3 mesi le percentuali cambino, ma il punto principale è che possiamo benissimo gestirci i soldi per conto nostro, senza particolari sforzi o senza dedicare molto tempo semplicemente partendo da uno di questi portafogli modello.

Ovviamente bisogna fare molta attenzione all'adeguatezza dei livelli di rischio del portafoglio. Come visto nel post su portafogli modello e asset allocation possiamo la perdita massima annua è indicativamente la metà (anche se può essere maggiore, nulla è certo in finanza) della quota allocata in azioni. Se uno di questi lazy portfolio ci porta a una quota a rischio maggiore di quanto tollerabile non sarà adatto a noi.

Il ribilanciamento

Come ho accennato più volte in altri post non credo nella completa efficienza dei mercati. Cioè non credo che il mercato in qualsiasi momento ci fornisca la valutazione perfetta dei titoli che lo compongono.

I mercati sono fatti da persone e le persone sono fatte da emozioni. Le emozioni possono determinare una parte dei prezzi e questo è un fatto. Ci sono quindi momenti in cui un mercato può essere sottovalutato o sopravvalutato.

Il ribilanciamento è lo strumento che ci viene in aiuto contro questi eccessi.

In che cosa consiste? Supponiamo di voler investire 100 mila euro in un lazy portfolio molto semplice, che investa il 60% su MSCI World e un 40% sui bond Euro Aggregate.

Nel momento in cui decidiamo di investire acquisteremo 60 mila euro di MSCI World e 40 mila euro di un etf su Euro Aggregate Bond.
Con il tempo il valore di questi strumenti varierà.

Dopo un anno potrebbe succedere che il valore di MSCI World sia a 80 mila euro, mentre l'Euro Aggregate Bond ancora a 40 mila.

In tale situazione, tuttavia, la nostra allocazione non è più 60%/40%, ma 67%/33% (80/120*100=66,67%, per essere precisi).
Il profilo di rischio è quindi cambiato e dovremo vendere un 7% del portafoglio totale da MSCI World per acquistare bond.

Questi aggiustamenti automatici hanno quindi l'effetto di portarci a vendere le asset class che sono salite di più e ad acquistare quelle che sono salite meno... in pratica ci proteggono da valutazioni eccessive e ci mettono in condizione di partecipare ai futuri rialzi delle asset class sottoperformanti.

Chiaramente se un indice sale per svariati anni consecutivi questo ci porterà anche ad avere rendimenti minori che in assenza di ribalanciamento, ma il fine ultimo è quello di tenere sotto controllo il rischio del portafoglio.

Un altro svantaggio del ribilanciamento (dal punto di vista fiscale) è quello di far scattare l'imposizione del fisco. L'asset class venduta genererà una plusvalenza non compensabile (almeno per la parte di delta NAV, ma lo approfondirò in altri post) e farà felice l'Erario.

Per questi 2 motivi è meglio non ribilanciare troppo frequentemente.

Larry Swedroe, autore di The Only Guide to a Winning Investment Strategy You'll Ever Need: The Way Smart Money Preserves Wealth Today, propone quella che per me rimane la miglior "regola" per un ribilanciamento semplice, la regola del 5/25.

Secondo questa regola il ribilanciamento avviene solo nel caso vi sia uno scostamento maggiore del 5% del totale portafoglio o del 25% della singola asset class... provo a spiegare con un esempio.

Riprendiamo il portafoglio di prima con due soli fondi. In questo caso il 25% di scostamento per l'asset class dei bond ammonta al 40%*25%=10% del totale del portafoglio. E' ovvio che non scatterà mai in quanto non appena lo scostamento è maggiore del 5% del valore totale (nel secondo anno 120*5% = 6 mila euro) scatterà il ribilanciamento.

Se però avessimo un lazy portfolio con molti strumenti, di cui magari uno al 5% del totale come nel caso dello Smart Money la regola si applicherebbe così: 5%*25%=1,25%. Quindi a fronte di uno scostamento dell'1,25% del portafoglio per l'asset class presa in esame scatterebbe il ribilanciamento (molto prima della soglia del 5% quindi..).

Italia vs USA

Forse avrete notato che gran parte di quanto vi ho postato è relativo a portafogli USA e a rendimenti USA. Ma questi concetti sono applicabili anche per l'Italia?

Assolutamente sì. L'unica cosa che mi permetterei di evidenziare è il trattamento fiscale: mentre negli USA i fondi sono penalizzati da alcune regole fiscali che comportano una distribuzione periodica dei loro proventi, regole che impattano meno sugli ETF in virtù del limitato turnover, in Italia il vantaggio fiscale è contrario.

I fondi hanno una tassazione meno cervellotica di quella degli ETF (che prevede due livelli di tassazione: delta NAV, in comune con i fondi, e delta prezzi di acquisto) e, soprattutto nel caso di un fondo bilanciato, ho il sospetto che la maggiore efficienza fiscale possa fare la differenza.

Purtroppo mancano studi al riguardo... nel nostro piccolo proveremo a rimediare con una prossima serie di post.

Innanzitutto convertiremo alcuni dei lazy portfolio che ritengo più interessanti al caso italiano (quindi con strumenti acquistabili su Borsa Italiana e che rispettino i concetti alla base dei lazy con strumenti appropriati per l'investitore italico) e al tempo stesso selezioneremo alcuni fondi bilanciati come benchmark.

Proveremo quindi a capire se la bilancia penda più dal lato dei bassi costi e della replica passiva o se invece dal lato della maggiore efficienza fiscale di un fondo bilanciato ben gestito.

Stay tuned.

mercoledì 6 novembre 2013

Proteggersi dall'inflazione: Le altre tipologie di obbligazioni

Siamo arrivati alla quinta puntata della nostra analisi dei vari strumenti esistenti per proteggersi dall'inflazione.

Dopo aver visto i Btpi e gli altri titoli di stato reali, le obbligazioni variabili indicizzate, i buoni postali indicizzati all'inflazione e i BTP Italia è arrivato ora il momento di allargare la nostra analisi a titoli tradizionali non pensati a questo scopo.

Le obbligazioni a tasso fisso

Le obbligazioni a tasso fisso sono uno degli strumenti finanziari più semplici.
Sottoscrivendo una di queste obbligazioni ci garantiremo per la durata restante del prestito una cedola predeterminata una o più volte all'anno.

Supponiamo aver sottoscritto all'emissione una di queste obbligazioni BEI a tasso fisso.
Ci saremmo garantiti dal 2008 fino al 2015 un tasso annuo lordo del 4,25% sul nostro investimento. In questo caso saremmo riusciti a proteggere il nostro portafoglio dall'inflazione anche in assenza di una protezione specifica nei meccanismi del titolo (fino ad oggi).

Ma cosa sarebbe successo se l'inflazione fosse schizzata al 20% nel frattempo? Ci avremmo rimesso...
Non ci vuole un genio per capire questo, mi direte, ma proviamo a spostare il ragionamento sulla durata di queste obbligazioni.

In linea di massima i rendimenti attesi di tutte le obbligazioni paragonabili per scadenza e qualità di credito sono identici. Se non mi credete fate una ricerca su qualsiasi sistema di trading on line e fatemi sapere se trovate scostamenti significativi, vi pago una birra.

Questo cosa significa per noi? Che il rendimento atteso di un'obbligazione a tasso fisso comprata sul mercato contiene al proprio interno quella che è la stima dell'inflazione futura che il mercato ritiene plausibile al momento!
In pratica, se un BTPi ha una componente reale del 2% e un BTP normale di pari scadenza rende il 5% netto il mercato ci dice che si sta attendendo un'inflazione futura del 3%.

Più la durata residua dell'obbligazione si allunga, più sarà difficile per il mercato effettuare una previsione accurata.
Questo significa che in linea di massima non ci dobbiamo attendere rendimenti reali negativi su obbligazioni molto brevi (tranne situazioni specifiche del mercato).

Magari state dubitando e volete vedere qualche numero al riguardo...
Innanzitutto vi consiglio un breve salto sul sito di Fama (recente Nobel) per vedere che ha da dire al riguardo. (se non sapete l'inglese sappiate che dice esattamente le stesse cose che vi ho appena detto)

Per il resto sfrutteremo in parte il lavoro di Mediobanca e di Istat per adattare il ragionamento alla realtà Italiana.

Lo studio di Mediobanca considera un paniere di Titoli di Stato e bond privati a tasso fisso con durata residua superiore ai 2 anni e volumi scambiati annui superiore ai 516 milioni di euro, suddivisi per maturità residua. Esamineremo la fascia tra i 3 e i 5 anni e quella oltre i 7.

Il grafico mostra il confronto tra i rendimenti dei bond nominali a tasso fisso e inflazioni
















Come potete vedere dal 1997 questo tipo di bond è stato in grado di battere l'inflazione. Nel calcolo di Mediobanca non viene considerata la variazione dei prezzi dei titoli.

I titoli superiori a 7 anni mostrano rendimenti maggiori, ma non va dimenticato che quel rendimento ci accompagnerà fino alla scadenza e potrebbe essere soggetto a shock inflazionistici in futuro.

Dal grafico è evidente come i titoli più a breve siano maggiormente correlati con l'inflazione (Rappresentata dal FOI senza tabacchi) mentre come i rendimenti dei titoli più a lungo siano meno correlati con la stessa (come è lecito attendersi).

Le obbligazioni a tasso variabile

Da qualche tempo poi piacciono molto obbligazioni a tasso variabile indicizzate a qualche opportuno target. Le più comuni sono quelle indicizzate all'Euribor, ma ve ne sono di indicizzate ad altri indici, anche azionari.

Ovviamente la capacità di questi titoli di proteggere dall'inflazione dipenderà (supponendo di sottoscriverle all'emissione) dalla correlazione dell'indice sottostante rispetto all'inflazione.

Nel caso dell'Euribor a 6 mesi la correlazione con l'inflazione corrente è bassa (nell'ordine dello 0,27), mentre la correlazione con l'inflazione dei prossimi 12 mesi è praticamente nulla (vicina a 0).

Allego di sotto i due scatter plot costruiti grazie all'ottimo sito di Giorgio Arcidiacono con i dati presi dal data warehouse Eurostat.
Il grafico mostra la scarsa correlazione tra Euribor 6 mesi e inflazione (0,27)
Euribor a 6m vs Inflazione corrente. Sull'asse x i valori dell'Euribor.

Il grafico mostra che tra Euribor a 6 mesi e tasso di inflazione spostato in avanti di 12 mesi non c'è correlazione.
Euribor a 6m vs tasso inflazione yoy con lag di 12 mesi

Conclusione

Per sintetizzare quanto visto sopra si può dire che tra le varie forme di obbligazioni esistenti (ed escludendo quelle specificamente previste per questo scopo) le obbligazioni migliori per proteggersi dall'inflazione sono i titoli a breve a tasso fisso (1-3 anni).

Titoli a tasso fisso a lunga scadenza e titoli legati all'Euribor non sono invece prodotti ottimali in questo senso.

 

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