Guida all'investimento: Prima parte - Quando investire e come definire gli obiettivi.

Prima puntata della guida per capire quando investire, dove investire e su cosa investire.

Guida all'investimento: La Diversificazione

In questo post analizziamo l'importanza della diversificazione per il nostro portafoglio.

Guida all'investimento: Quarta Parte - Quali strumenti utilizzare per l'Azionario?

In questo post cerchiamo di capire come orientarci tra i vari strumenti disponibili

Come si seleziona un fondo?

Scopri i criteri fondamentali per la selezione del tuo fondo attivo.

Lazy Portfolio

Semplicità e buoni rendimenti. Scoprili.

sabato 28 dicembre 2013

La ricchezza delle famiglie italiane è investita male?

Il 13 Dicembre 2013 la Banca d'Italia ha pubblicato un supplemento al suo bollettino statistico che analizza la ricchezza degli italiani.

Quando mi sono messo a leggere il bollettino (su gentile segnalazione del nostro lettore Killerinpensione) la cosa che mi ha colpito di più è stata la ripartizione di questa ricchezza:


Il grafico che vi ho riportato riporta esclusivamente gli asset finanziari. Non vi sono incluse le abitazioni (che rappresentano la parte maggiore della ricchezza).
A voi sembra una ripartizione folle? A me sì.

Colpisce molto come l'investimento principale degli italiani sia il cash... sia sotto forma di denaro contante che di depositi bancari. Nella colonna che vedete ho aggregato sia il denaro in forma contante, sia i depositi bancari e il risparmio postale.
Quasi 1200 miliardi di euro sono detenuti dagli Italiani in forma liquida. Sospetto che buona parte di questi sia in conti deposito che per molti Italiani sono diventati uno dei mezzi principali di risparmio, mentre un'altra buona fetta è probabilmente su conti bancari normali che non rendono nulla.

Considerando che da una breve ricerca via internet il conto deposito più remunerativo rende il 3,5% lordo capiamo subito come ad oggi una grossa fetta degli investimenti delle famiglie sia investita in strumenti con rendimento basso.

Un'altra grossa fetta di capitale è investita in quote societarie.. si tratta delle imprese non quotate, dalla Ferrero al fornaio sotto casa... qui non c'è molto da commentare, è un bene che questi 750 miliardi e rotti siano qui.

Altri 700 miliardi sono invece investiti in obbligazioni e prestiti sociali, di cui circa 180 miliardi in BTP e affini e ben 370 miliardi in obbligazioni bancarie detenute direttamente.
Temo che la gran parte degli investitori non abbia diversificato né gli emittenti, né le scadenze, finendo "preda" di consigli allo sportello.

Non è mia intenzione mettere in dubbio la solidità di questa o quella banca, intendiamoci. Quello che vorrei far passare è il semplice concetto della diversificazione: un qualsiasi titolo emesso da un'azienda privata non è sicuro quanto l'analogo titolo di Stato (ed è uno dei motivi per cui in condizioni normali rendono di più).

Concentrare i propri risparmi su un solo emittente privato, magari lo stesso del conto deposito, è una situazione che crea del rischio non necessario.
Anche la semplice suddivisione del rischio su più emittenti nazionali non è sufficiente, a mio parere, per fornire una diversificazione ottimale: a fronte di una crisi sistemica è difficile credere che (sempre ipoteticamente parlando) Unicredit abbia dei problemi e invece Intesa e Popolare di Milano no, tanto per fare un esempio.

I fondi comuni hanno i loro limiti e bisogna sapere che cosa si sta tenendo in portafoglio, ma la diversificazione degli emittenti che sono in grado di fornire con l'acquisto di una sola quota è uno dei maggiori benefici e meriterebbe di essere tenuto adeguatamente in considerazione!

Questo è specialmente vero nel caso di quei risparmiatori che rinnovano di scadenza in scadenza un portafoglio di obbligazioni bancarie. Se abbiamo in portafoglio 3 obbligazioni della nostra banca per importo analogo, una che scade nel 2017 (e supponiamo di duration 2.5), una che scade nel 2020 (duration 5) e una nel 2023 (duration 7, supponiamo) e ad ogni scadenza ne acquistiamo una che scade 10 anni più in là, non è diverso da detenere un fondo comune visto l'impatto che hanno i movimenti dei tassi di interesse sul loro valore.
Nello specifico sarebbe equivalente a detenere un fondo comune di duration (2.5/3+5/3+7/3)= 4,83, ovvero un fondo su scadenze intermedie.

Vi è tuttavia una maggior sicurezza psicologica data dal sapere di avere un rimborso certo a una determinata scadenza. Lo stesso beneficio si può ottenere suddividendo su due fondi comuni le somme. Se mettessimo 1/3 in un fondo con duration 1 e 2/3 in un fondo con duration di circa 7 otterremmo un portafoglio con una rischiosità complessiva simile a quella delle 3 obbligazioni singole, ma con 1/3 del portafoglio investito in obbligazioni a breve che non dovrebbero subire scivoloni maggiori di 1-2 punti percentuali anche nei casi peggiori.

Il vantaggio sarebbe tuttavia quello di godere di una più ampia diversificazione e quindi di minori rischi in caso di crac di singoli emittenti (Parmalat o Lehman Brothers vi dicono qualcosa?).

Il discorso fatto per i fondi comuni è valido anche per gli ETF.

Importante anche il valore degli asset gestiti dalle compagnie di Assicurazione, circa 700 miliardi, che comprende anche i fondi pensione. In questo caso vale sempre il nostro warning sui costi: fate attenzione ai caricamenti delle polizze.
Se di 100 euro di premio venti se ne vanno in commissioni, capite subito che prima di avere un rendimento positivo il vostro portafoglio assicurativo deve fare un +25% (80+ 80*25%=100). E' uno dei motivi per i quali dovete sempre fare molta attenzione ai costi della vostra polizza vita o del vostro pip!

Arriviamo infine alle note dolenti.. solo 266 i miliardi investiti nei fondi comuni da parte delle famiglie italiane. La cosa si fa ancora più triste nel momento in cui realizziamo che la Banca d'Italia include anche gli ETF nell'aggregato dei fondi comuni (si veda questa pubblicazione).

Considerando che la ricchezza totale delle famiglie è di circa 3600 miliardi di euro, meno del 10% della ricchezza complessiva è investita negli strumenti che possono garantire la miglior diversificazione all'investitore a fronte di costi relativamente contenuti (specialmente nel caso degli ETF).

A nostro parere questa è una vera anomalia. Sarebbe interessante capire le ragioni di questa particolare avversione al risparmio gestito e può essere che una parte sia dovuta anche a cattive esperienze passate. Il problema è che si rischia di rifiutare una intera classe di strumenti solo perchè magari siamo stati male consigliati in passato su alcuni di essi... d'altronde se il medico sbaglia una diagnosi cambiamo medico, non smettiamo certo di prendere medicinali no?
Non si capisce perchè in questo caso non si possa cambiar promotore o consulente finanziario invece che ignorare completamente una classe di prodotti che garantiscono:

  1. Accesso facile e immediato a tutti i mercati mondiali
  2. Accesso facile e immediato a tutte le asset class esistenti.
  3. Grande diversificazione degli emittenti (e quindi ridotto rischio di perdita di capitale per fallimenti)
Pensateci, e magari cercate di rivedere un po' la vostra allocazione se, come per molte famiglie, solo il 10% dei vostri risparmi è investito in questi strumenti.

Arriviamo infine alle azioni: solo 70 miliardi circa detenuti in questo strumento.
Valgono anche qua le considerazioni già viste per le obbligazioni bancarie: a meno che non vi riteniate il nuovo Buffet, il nuovo Peter Lynch o il nuovo Graham, fatevi una cortesia investendo in azioni attraverso i fondi comuni o gli etf.

Anche con solo 10.000 euro potrete arrivare a detenere quote di 1.000-2.000 imprese diverse e questo ridurrà fortemente il rischio di perdite rilevanti e permanenti (anche se non ridurrà i momentanei scivoloni insiti nell'investimento azionario).

Vorrei chiudere invece con un grafico sull'asset allocation delle famiglie italiane.
I dati per la ripartizione di polizze e fondi comuni sono stati presi da questa analisi della banca d'Italia e mostrano come in media il 76% delle somme nei fondi comuni siano investite in strumenti obbligazionari, così come il 67% di quanto investito nelle polizze.
L'allocazione è notevolmente conservativa. Nel nostro post sul perchè investire in azioni abbiamo cercato di spiegarvi i benefici di questa tipologia di investimenti.
Non posso che rimandarvi alla lettura di quell'articolo oppure della parte della guida all'investimento che riguarda la selezione della quota azionaria ottimale.

Buona lettura.

mercoledì 18 dicembre 2013

Da Yale all'Italia: il Lazy Portfolio di David Swensen.

Nel precedente post sui lazy portfolio vi avevo promesso un adattamento dei più famosi lazy portfolio al caso Italiano.
Il portafoglio da cui ho deciso di partire è quello di David Swensen (nella foto).
Foto di David Swensen

David Swensen è famoso principalmente per il suo lavoro come gestore del fondo di investimento della Yale University (che garantisce fondi extra per la gestione dell'Università). Nel corso della sua gestione (cominciata nel 1985) ha sviluppato quello che è diventato famoso come il Yale Model e che l'ha portato ad ottenere ottimi rendimenti nel corso degli anni (+11,9% annualizzato dal 2000 al 2009, +11% annualizzato negli ultimi 10 anni al 30 giugno 2013).

Oltre a scrivere un libro per investitori professionali, questo gestore ha scritto anche un libro per "comuni mortali", dal titolo Unconventional Success. Sfortunatamente questo libro non è stato tradotto in Italiano (e lo ritengo un vero peccato). Vi consiglio comunque la lettura di Unconventional Success in lingua originale (se ve la cavate) perchè il libro merita davvero.


Il lazy portfolio di Swensen - La teoria.

L'approccio di Swensen è piuttosto chiaro: se sei un gestore di fondi con grande conoscenza e passione puoi tentare di essere attivo. Se sei un piccolo investitore il gioco non vale la candela. Tanto vale sposare la replica passiva e accontentarsi della scelta corretta dei mattoni (le asset class) che vanno a comporre il proprio portafoglio.

Nel testo Unconventional Success l'autore propone un portafoglio per il piccolo investitore, di lunghissimo periodo. L'idea è quella di avere a disposizione una somma per costruire un supporto alla propria pensione e che questa somma (a meno di disastrosi imprevisti) non debba essere mai intaccata.

Il portafoglio è anche figlio delle convinzioni dell'autore. Nel libro, infatti, prende posizione in maniera netta sulle asset class a disposizione dell'investitore retail. Da un lato identifica le asset class "core" e quelle "non-core", esprimendo la convinzione che quelle del gruppo non-core siano in ogni caso scelte sub-ottimali rispetto alle asset class nel gruppo principale.
A finire in serie B troviamo asset class importanti: i bond high-yield e le commodities tanto per dirne due. Solo la spiegazione delle motivazioni alla base di queste scelte meriterebbe la traduzione in Italiano del libro e vale sicuramente i 10-20 euro di costo del libro se capite l'Inglese.

Tanto per darvi una piccola anteprima: le commodity di fatto non danno rendimento extra rispetto all'inflazione nel lungo periodo. Meglio a quel punto altre asset class che sono collegate all'inflazione, ma che sono in grado di fornire anche un rendimento extra (immobiliare). Per quanto riguarda i bond High-Yield invece è un problema di correlazione. Essendo troppo correlati con l'azionario non sono in grado di compensarne i cali quando serve.

Interessante vero? Per maggiori dettagli leggete Unconventional Success. Le spiegazioni dell'autore, numeri alla mano, sono davvero convincenti.

Il lazy portfolio di Swensen - La pratica.

Probabilmente vi ho già stufato con questi discorsi, quindi passiamo a quello che vi interessa veramente: la pratica!
Vediamo il portafoglio originale di Swensen.

Asset Class % Allocazione
Azioni USA30%
Azioni Paesi Sviluppati15%
Azioni Emergenti5%
Real Estate20%
Titoli di Stato USA15%
Titoli di Stato indicizzati
all'inflazione
15%
Per la sua conversione al caso dell'investitore italiano ho fatto le seguenti assunzioni: come mercato di riferimento ho preso l'area Euro (il nostro mercato domestico). Tutto quello che nel portafoglio di Swensen è in dollari è convertito nell'equivalente in Euro. 
Per la costruzione del portafoglio ho scelto vari ETF (perchè l'autore sostiene una gestione passiva) a capitalizzazione (perchè mi risparmio di tracciare le distribuzioni dei dividendi).

Questo è il portafoglio che ho ottenuto.

Asset Class % Allocazione
iShares MSCI EMU UCITS ETF30%
Amundi World Ex-Emu15%
AMUNDI ETF MSCI EMERGING MARKETS5%
xtrackers FTSE EPRA/NAREIT
Developed Europe Real Estate
20%
AMUNDI ETF GOVT BOND
HIGHEST RATED EUROMTS
15%
xtrackers iBoxx Euro
Inflation-Linked UCITS ETF
15%

Come vedete gli strumenti sono di vari gestori. I criteri per la selezione sono sostanzialmente tre: essere un ETF a capitalizzazione, essere sull'indice appropriato e essere già quotato al 30 Aprile 2012. La scelta di un particolare ETF non significa che questo ETF sia il migliore nella sua categoria.

Per il confronto con i fondi attivi menzionato nel post sui lazy portfolio ho deciso di seguire queste regole:
  • Acquisto al prezzo di chiusura (per semplicità)
  • Commissioni allo 0,19%, minimo 3 - massimo 19 euro.
  • Ribilanciamento trimestrale secondo la regola del 5/25, eseguito il primo lunedì successivo alla chiusura del mese (ipotizzando che l'investitore controlli la sua posizione nel weekend)

Il benchmark.

Ovviamente per valutare la qualità di questo portafoglio abbiamo bisogno di un punto di riferimento, di un benchmark. Marketwatch utilizza lo S&P 500. Io preferisco utilizzare quello che utilizzerebbe il piccolo investitore Italiano: un fondo attivo.

Vi ho già spiegato in un recente post come selezionare un fondo attivo. Rispetto a quanto esposto in quel post aggiungo alcune considerazioni ulteriori. Ho voluto selezionare un unico fondo bilanciato, principalmente per un motivo: l'efficienza fiscale.

Se avessi selezionato un portafoglio di fondi attivi avrei avuto lo stesso problema che avrò con il ribilanciamento del portafoglio di Swensen: l'Erario tassa le plusvalenze in sede di ribilanciamento. Selezionando un unico fondo bilanciato il problema non si pone. Le eventuali riallocazioni sono eseguite in capo al gestore e, nell'ipotesi di non intervenire sul portafoglio, non si pagano tasse fino alla vendita.

Il portafoglio di Swensen è azionario al 70%. Non è facile individuare fondi bilanciati con questa quota di azionario che rispettino anche i filtri severi che abbiamo impostato nel post su come selezionare un fondo attivo. Ne ho trovato uno, tuttavia, che:
  • Ha un benchmark al 65% azionario, molto simile a quello del lazy portfolio;
  • Ha 4 su 5 in Lipper Leaders per il costo (avremmo preferito 5 su 5) e punteggio pieno per costanza di rendimento
  • Il fondo gode del rating Argento da parte di S&P Capital IQ e lo detiene da almeno 5 anni.
In particolare il rating di S&P è un rating qualitativo sull'abilità del management e sulla qualità del processo di selezione...

Insomma.. abbiamo un fondo che dovrebbe essere un cavallo di razza nel campo dei fondi attivi. Volete sapere il nome? Si tratta del Templeton Global Balanced Fund - Classe A EUR (LU0195953822)

In questo caso ipotizzeremo di acquistare il fondo presso un intermediario che ci azzeri le commissioni di ingresso, limitandoci a pagare le commissioni di banca depositaria (12 euro).

Vi state perdendo? Facciamo il punto.

Ricapitoliamo:
  • 100.000 euro da investire.
  • Inizio al 30 Aprile 2012
  • Due portafogli a confronto: il Lazy Portfolio di Swensen contro un fondo attivo selezionato secondo severissimi criteri.
Se avessimo acquistato il nostro lazy portfolio ad Aprile 2012 e avessimo controllato per il ribilanciamento ogni 3 mesi (e quindi a fine Luglio, Ottobre, Gennaio e Aprile) non avremmo avuto ribilanciamenti fino ad oggi (20 mesi dopo).

La situazione all'ultimo controllo (Ottobre 2013) sarebbe stata la seguente:







Come si può vedere nessuna delle asset class ha fatto scattare il ribilanciamento. Nessuna ha uno scostamento maggiore del 5% del portafoglio, e nessuna ha avuto uno scostamento del 25% della propria allocazione. Il 25% di 15% sarebbe, ad esempio il 3,75% del portafoglio, ma sia i bond governativi che i bond indicizzati all'inflazione sono ben lontani da questi valori. (ovviamente le azioni Area Euro sono sopra a questa soglia, ma la soglia da tenere in considerazione per loro è il 5%. 30%*25%=7,5% che è superiore al 5% e quindi non scatterà mai)

Il vincitore.

Chi è in testa alla gara fino ad ora?

Vediamolo subito con un grafico... In verde trovate il Lazy Portfolio di David Swensen, in viola la performance del Templeton Global Balanced Fund.
Lazy Portfolio Swensen vs Templeton Global Balanced

Come potete vedere i due portafogli sono abbastanza simili nel loro andamento.
Al 18 dicembre 2013 la differenza tra i due è di circa 1000 euro di valore finale, con un rendimento annualizzato del 12,41% per il Templeton e dell'11,8% per il Lazy Portfolio di Swensen.

Per inciso con entrambi si sarebbero guadagnati circa 20.000 Euro in un 20 mesi, investendo 100 mila euro.

Non male no?

Vedremo se andando avanti avranno maggiore impatto le maggiori commissioni del Templeton Global Balanced fund o se invece le penalizzazioni fiscali sui ribilanciamenti favoriranno il Lazy Portfolio di Swensen. 

In ogni caso ricordatevi sempre che questi non sono consigli di investimento ma solo considerazioni sugli strumenti a vostra disposizione.

Voi che ne pensate?
Commentate il post e fateci sapere il vostro punto di vista!

Aggiornamento.

Se vi chiedete come sta andando il portafoglio dopo 15 mesi, potete verificarlo qui:

sabato 14 dicembre 2013

Come selezionare un fondo attivo


Come si seleziona un fondo attivo?


Probabilmente ci siamo posti questa domanda alcune volte nella vita, magari parlando con il nostro promotore finanziario o magari semplicemente riflettendo su cosa includere nel nostro portafoglio.

Il primo criterio a cui tutti guardiamo è il rendimento. Ma è corretto selezionare i fondi su cui investire in base al rendimento?
Avete mai notato la scritta in piccolo nei documenti che vi propone il vostro promotore finanziario? C'è scritto "i rendimenti passati non sono indicativi di quelli futuri".
E questo è verissimo.

Spesso se si prende in esame una categoria di fondi si nota come i migliori degli anni precedenti tendano a sottoperformare il resto della categoria in seguito.

Come mai? La risposta più semplice è che solitamente quelli che hanno rendimenti molto elevati hanno anche un rischio maggiore e quindi tendono a perdere più del resto della categoria quando le cose vanno male.

E' sufficiente guardare i rendimenti aggiustati per il rischio?

Ci sono diversi modi per correggere i rendimenti dei fondi sulla base del rischio del fondo. I due indici più comuni sono l'indice di Sharpe e l'indice di Sortino. Si tratta di due misure che mettono a confronto il rendimento ottenuto con la variabilità dei rendimenti. In questo modo si tiene conto del maggior rischio assunto nel valutare il rendimento del fondo comune preso in esame.

E' tuttavia sufficiente questo accorgimento per identificare i migliori fondi? 

Per rispondere vi rimando a questo link dell'autore dell'indice di Sharpe: http://www.stanford.edu/~wfsharpe/art/stars/stars6.htm

In particolare, quello che ci interessa sono i 3 grafici seguenti. Il primo mostra il valore dell'indice di Sharpe al variare del costo di un gruppo di fondi.

Il grafico mostra come varia l'indice di Sharpe al variare del costo del fondo


L'asse verticale mostra il valore medio dell'indice di Sharpe di un gruppo di fondi, mentre l'asse orizzontale il decile di riferimento per spese.
Per chiarire: la prima barra mostra il valore medio dell'indice di Sharpe del 10% di fondi con i costi minori, l'ultima il valore medio dell'indice di Sharpe dei fondi con i costi maggiori.

Ricordo che questo indice misura il rendimento rapportato al rischio. Questo significa che i fondi con costi minori hanno avuto rendimenti aggiustati per il rischio migliori. Interessante no?

Il secondo grafico è analogo, ma prende in esame il tasso di turnover del portafoglio (ovvero quante volte un fondo vende e compra i suoi asset in un determinato periodo).
Il grafico mostra come varia l'indice di Sharpe al variare del tasso di turnover dei fondi di riferimento

La prima barra mostra il valore medio dell'indice di Sharpe del 10% dei fondi con il minor tasso di turnover del portafoglio, l'ultima il valore medio dell'indice del 10% dei fondi con il tasso di turnover più alto. Anche in questo caso la conclusione che possiamo trarre è che i fondi con il minor tasso di turnover di portafoglio sono anche quelli con i rendimenti aggiustati per il rischio migliori.

Il terzo e ultimo grafico, invece, mostra come varia l'indice al variare della dimensione degli asset investiti nel fondo (l'AUM)
Il grafico mostra come varia l'indice di Sharpe al variare della dimensione del fondo.

Non mi soffermerò su questo grafico, in quanto lo stesso Sharpe commenta più avanti nel suo articolo come la relazione tra AUM e indice di Sharpe sia statisticamente molto meno significativa rispetto a quella tra indice e costo e tra indice e turnover di portafoglio.

Quello che mi preme evidenziare è come ci siano due fattori che sembrano avere una forte correlazione con il rendimento aggiustato per il rischio dei fondi: il costo e il tasso di turnover.

Gli altri fattori

Il rendimento aggiustato per il rischio non è quindi l'unica misura da prendere in considerazione ma, piuttosto, il costo e il tasso di turnover di portafoglio vanno inclusi nel metodo di selezione.

Nel suo libro Common Sense on Mutual Funds John Bogle (fondatore di Vanguard ed ex gestore di fondi di investimento) elenca alcuni criteri per la selezione di un fondo attivo adeguato:


  1. Basso costo (e con Sharpe abbiamo visto perchè)
  2. Non cercare i rendimenti passati o manager famosi (in quanto non sono garanzia di rendimenti futuri)
  3. Ricerca la costanza dei rendimenti (meglio un fondo che rimane sempre nel secondo e terzo quartile che uno con grossi sbalzi da primo a ultimo)
  4. Favorire l'efficienza fiscale (cioè il basso turnover, come mostrato anche da Sharpe)
  5. Preferire le società che controllano il rischio e che allineano gli interessi dell'investitore con quelli del manager (per esempio obbligandolo a investire nel fondo importi significativi)
  6. Stare lontani da fondi con un AUM troppo elevato.
Il sesto punto potrebbe sembrarci in contrasto con i consigli di Sharpe. In realtà ricordo ancora che lo stesso Sharpe ha affermato come la relazione tra il suo indice e le dimensioni del fondo non sia statisticamente significativa.

Inoltre all'aumentare della dimensione di un fondo si riducono anche le possibilità di acquistare titoli a prezzi convenienti (un conto è acquistare lo 0,1% di un titolo in Borsa, un conto doverne acquistare un 2-3% facendone salire il prezzo mano a mano).

Ancora sul costo

Alcuni di voi staranno pensando, magari, alle stellette di Morningstar. D'altronde si tratta di uno strumento che i promotori amano molto e che usano per convincervi che un fondo è particolarmente valido rispetto a un altro.

Se leggete questo blog dovreste innanzitutto aver pensato: "Ma si tratta di uno strumento che esamina i rendimenti passati!" (e quindi fuffa).

Se ancora non vi viene spontaneo sappiate che Morningstar stessa ha affermato (con grande onestà) che le stellette prevedono i rendimenti futuri peggio che il semplice ordinamento per costo dei fondi.

Per chi fosse interessato qui il link alla notizia.

Dalla teoria alla pratica

I criteri che vi ho riportato sopra saranno quelli che utilizzerò per selezionare i fondi attivi che costituiranno il benchmark dei lazy portfolio che saranno adattati all'investitore europeo e monitorati periodicamente.

Vi invito ad utilizzare gli stessi criteri per valutare i fondi attivi che attualmente avete in portafoglio e decidere quali siano eventualmente da riconsiderare o da portare all'attenzione del vostro promotore per una potenziale sostituzione.

Un utile strumento per facilitare la vostra ricerca è il sito http://www.lipperleaders.com/ che vi permette di selezionare i migliori fondi di una particolare categoria per costo e costanza di rendimento (tra le altre cose).

Utilizzate lo spazio dei commenti per farci sapere cosa avete scoperto!

PS

Come avrete notato non viene affrontato in questo articolo il problema della selezione della categoria di asset nei quali investire. A tale proposito vi rimando alla nostra Guida all'investimento.

mercoledì 11 dicembre 2013

Confronto BFPI-BTP Dicembre 2013 -Gennaio 2014

Flash post in seguito alla comunicazione dei tassi per la nuova serie di Buoni Postali indicizzati all'inflazione, la serie J42.

Anche per questo mese i tassi restano invariati, quindi vi rimando al post di Settembre.
Confronto BFPI-BTP Settembre-Ottobre 2013

Nei prossimi giorni valuterò se la curva dei tassi dei BTP e dei BTPi si sia spostata in modo tale da richiedere un ulteriore aggiornamento anche a fronte dei tassi costanti dei buoni postali.


lunedì 2 dicembre 2013

Il rischio di deflazione in Europa - punti di vista

L'economista Irving Fisher

Il rischio deflazione

Siamo abituati a considerare l'inflazione un nemico.
Nel caso in cui aumenti l'inflazione i beni costano di più e se non abbiamo investito in maniera corretta i nostri risparmi ci permetteranno di comprare meno beni in futuro.

Se questo è vero, perchè in Europa si inizia a parlare di pericolo di deflazione?

Nello specifico il pericolo che preoccupa l'Europa è la deflazione da debito teorizzata per la prima volta da Irving Fisher negli anni '30.

Si tratta di un circolo vizioso per cui in seguito a un eccesso di indebitamento vi è un calo di fiducia da parte dei debitori o dei creditori. I beni reali vengono svenduti per poter liquidare i debiti e ciò porta a una contrazione della base monetaria che porta, di conseguenza, a un calo generalizzato dei prezzi.
Questo porta però a un maggior debito in termini reali. Per coprirne il costo vengono alzate le tasse /diminuite le spese e questo porta a riduzione dei consumi, riduzione dei profitti delle imprese, minori investimenti, minore fiducia... alla fine si arriva al paradosso che il debito continua ad aumentare e la fiducia a peggiorare.

Vi invito a leggere l'interessante articolo di Mario Seminerio in merito.

Punti di vista dall'estero

Trovo interessante anche l'intervista pubblicata da IndexUniverse.eu a Westaway, capo economista di Vanguard  ed ex membro del direttivo della Bank of England.

Quello che trovo interessante nel commento di Westaway è un passaggio in particolare, più o meno a metà intervista, nel quale delinea quella che potrebbe essere la soluzione che è nelle menti del mondo finanziario alla crisi europea.

Al fine di far recuperare competività ai Paesi periferici l'obiettivo a tendere della BCE dovrebbe essere quello di creare le condizioni per un'inflazione sopra al 2% in Germania e inflazione minore nei Paesi come Italia e Spagna, in modo tale da far diminuire il costo del lavoro in questi Paesi in termini relativi rispetto alla Germania.

Il rischio è tuttavia quello di mandare in deflazione non l'intera Unione, ma solo i Paesi periferici. Francamente penso che giocare sul filo di lana dell'inflazione intorno allo 0,5%-1% sia molto pericoloso. Non credo che le banche centrali siano in grado di intervenire con tale precisione sul livello dei prezzi... non vorrei che a un certo punto si finisse in una spirale deflazione-recessione da fare invidia al Giappone...

Come si investe per proteggersi dalla deflazione?

In caso di deflazione i titoli migliori sono quelli a tasso fisso. Il tasso nominale predeterminato, infatti, permette di avere rendimenti reali positivi. Immaginate di avere un titolo di stato che renda il 5% nominale. Se i prezzi dovessero cadere dell'1% annuo il rendimento netto sarebbe del 6% in termini reali.

Anche i buoni postali indicizzati all'inflazione sono un buon argine nei confronti della deflazione, con il vantaggio di venir buoni per entrambi gli scenari (inflattivo e deflattivo). Nel caso in cui siamo in presenza di inflazione, infatti, i buoni continueranno ad offrire un rendimento reale positivo (anche se via via minore all'aumentare dell'inflazione) pari alla parte reale di rendimento garantita al momento della sottoscrizione.

Questa parte reale entra in gioco anche nel caso di deflazione, garantendo un extra rendimento rispetto a uno scenario deflattivo.

Ovviamente tutto questo è valido anche nel caso di BTPi (anche se in questo caso dovrete avere i nervi saldi, visto che probabilmente i prezzi fluttueranno, pur garantendovi migliori rendimenti).

In caso di deflazione, invece, non sono particolarmente indicate le azioni. Il calo dei prezzi porta a una diminuzione dei profitti delle imprese... e come abbiamo visto nel post dedicato al perchè investire in azioni ciò non è buona cosa per i corsi azionari.


mercoledì 27 novembre 2013

I costi di un fondo, incidono sui rendimenti?

Tra i vari modi di investire disponibili per un piccolo investitore, avrete capito che quelli preferiti da me sono quelli che garantiscono la maggior diversificazione possibile: fondi comuni ed etf quindi sono due strumenti che secondo me devono essere ben presenti nell'arsenale dell'investitore.

In questo post vorrei concentrarmi sui primi, i fondi comuni.

Chi più spende...

... meno spende.  Questo almeno è quello che recita un noto proverbio e, per certi versi, per molti acquisti nella nostra vita è vero. Probabilmente acquistare un elettrodomestico scadente ci porterà a cambiarlo prima. Comprare vestiti scadenti farà sì che si rovinino e diventino impossibili da portare prima di quel che farebbero vestiti di maggiore qualità.

E in finanza?

Proviamo a capirlo.
Prendo ad esempio la categoria dei bilanciati moderati globali (in euro) di Morningstar.
Il grafico sottostante mostra nell'asse orizzontale il costo del fondo, espresso dal TER, mentre nell'asse verticale mostra i rendimenti del fondo preso in esame nell'arco degli ultimi 5 anni.


Come si evince dal grafico c'è una generale tendenza a rendimenti più alti quando il TER rimane più a sinistra nel grafico.

Se mettiamo i dati in tabella questa tendenza appare immediata

Rendimento a 5 anni
Ter del FondoMedioMinimoMassimo
Da 0 a 15,683,647,72
Da 1 a 27,14-0,8211,07
Da 2 a 37,401,1011,97
Da 3 a 46,162,057,62
Da 4 a 53,823,743,89
Da 6 a 7-0,55-0,55-0,55

I fondi con TER da 0 a 1 non sono (sorprendentemente) tra i primi per rendimento medio, ma va detto che il campione è limitato a pochissimi fondi e mi sentirei di sospendere il commento.

I fondi con TER tra 1 e 2 e tra 2 e 3 presentano rendimenti simili e una dispersione paragonabile.

Andando oltre si nota come i rendimenti medi si abbassino e anche nel caso si ottenesse il rendimento massimo della categoria si è comunque al di sotto del rendimento medio delle due categorie precedenti.

Quindi?

Questa breve analisi non vuole avere la pretesa di essere una pietra miliare della finanza.
Vuole però porre l'attenzione su un aspetto spesso trascurato nella selezione dei fondi comuni: il costo è un elemento importante per le performance dei nostri fondi.

Spesso non è vero che un fondo con spese maggiori ci porti anche manager più bravi.

D'altro canto concentrandosi su fondi poco costosi si migliorano le possibilità di avere rendimenti migliori rispetto alla categoria.

Approfondirò ulteriormente la questione in futuro in altri post, anche perché la categoria, pur essendo di grande interesse per il piccolo risparmiatore, non presenta una numerosità tale da essere statisticamente significativa.

Inoltre in questa breve analisi non ho corretto i rendimenti per il rischio, cosa che invece sarebbe opportuno fare.

Se l'argomento vi interessa continuate a seguire il blog!




mercoledì 20 novembre 2013

Confronto BFPI-BTP Novembre-Dicembre 2013

Ciao,
come forse i più attenti tra voi avranno notato nel mese precedente non ho aggiornato il confronto tra i rendimenti dei buoni postali indicizzati all'inflazione e i btp (in senso ampio)

Anche per questo mese il confronto non sarà pubblicato per un motivo molto semplice: i tassi dei buoni postali e dei btp non si sono mossi in maniera significativa.
D'altro canto l'inflazione rimane sotto controllo e, anzi, sembra iniziare a preoccupare l'ipotesi di uno scenario deflazionistico (dal quale i Bfpi comunque proteggono)

Rimane pertanto valido quanto scritto nell'ultimo commento.

Per comodità vostra allego il link diretto.

Confronto BFPI-BTP Settembre-Ottobre 2013

A dicembre, nella speranza che la CDP si schiodi finalmente da questo 1%.

mercoledì 13 novembre 2013

Gestire il portafoglio: i lazy portfolio

Molto spesso quando si pensa ad investire si ha una strana paura che ci porta a pensare che investire è complesso, richiede tempo, analisi infinite, previsioni sull'andamento dei mercati...

In pratica pensiamo che senza un professionista sia impossibile. Bene, la notizia di oggi è che non è così.

I Lazy Portfolio


La foto mostra Homer Simpson, icona della pigrizia!

Cos'è un lazy portfolio? La traduzione letterale è quella di portafoglio pigro.
Ma perché si chiama così?
Perché lo scopo principale di questi portafogli è quello di offrire rendimenti decenti nella maggior parte delle condizioni di mercato, impiegando un basso numero di fondi e senza dover necessariamente intervenire sulla loro composizione più di una volta all'anno.

Sembra abbastanza semplice no?

I rendimenti

La prima reazione che hanno le persone a cui spiego questo semplice concetto è sempre la stessa: "eh, ma così chissà come saranno i rendimenti... senza un gestore..."

Premetto che questi portafogli sono composti da varie asset class, quindi per confrontarne i rendimenti bisogna selezionare fondi bilanciati (o un opportuno mix di vari fondi attivi oppure il vostro investimento "tradizionale" in azioni e singoli titoli obbligazionari).

Vi sono alcuni portafogli proposti da importanti autori USA che sono monitorati giornalmente dal sito Marketwatch.
Il sito monitora 8 portafogli di ETF e ne riporta il rendimento a 1-3-5-10 anni.

Se seguite il link che vi ho fornito vedrete che a 10 anni il rendimento di questi portafogli oscilla tra il 6,75% e il 7,81% (alla data in cui scrivo questo articolo, 12 novembre 2013).

Andando su Morningstar (versione USA) e selezionando i fondi bilanciati moderati (visto che gran parte dei portafogli monitorati da MarketWatch hanno una percentuale di azionario intorno al 60%) quali sono i risultati?

Nella categoria i fondi che sono stati attivi per oltre 10 anni nella categoria sono 426 secondo Morningstar US.

Alla data del 12 novembre 2013 solo 121 fondi hanno un rendimento superiore al 6,75%, pari a un 28% del totale dei fondi attivi. Quello che sembra già un buon risultato è ancora migliore se si considera che nel frattempo molti dei fondi che non hanno avuto successo sono già stati chiusi o fusi all'interno di altri fondi.

Vediamo se mi sono spiegato... in pratica un piccolo investitore avrebbe potuto replicare uno qualsiasi di questi portafogli di ETF e fare meglio del 70% circa dei professionisti.

Non male no?

Chiaramente statistiche di questo tipo sono sempre influenzate dal momento in cui si effettua l'analisi. E' possibile che tra 2-3 mesi le percentuali cambino, ma il punto principale è che possiamo benissimo gestirci i soldi per conto nostro, senza particolari sforzi o senza dedicare molto tempo semplicemente partendo da uno di questi portafogli modello.

Ovviamente bisogna fare molta attenzione all'adeguatezza dei livelli di rischio del portafoglio. Come visto nel post su portafogli modello e asset allocation possiamo la perdita massima annua è indicativamente la metà (anche se può essere maggiore, nulla è certo in finanza) della quota allocata in azioni. Se uno di questi lazy portfolio ci porta a una quota a rischio maggiore di quanto tollerabile non sarà adatto a noi.

Il ribilanciamento

Come ho accennato più volte in altri post non credo nella completa efficienza dei mercati. Cioè non credo che il mercato in qualsiasi momento ci fornisca la valutazione perfetta dei titoli che lo compongono.

I mercati sono fatti da persone e le persone sono fatte da emozioni. Le emozioni possono determinare una parte dei prezzi e questo è un fatto. Ci sono quindi momenti in cui un mercato può essere sottovalutato o sopravvalutato.

Il ribilanciamento è lo strumento che ci viene in aiuto contro questi eccessi.

In che cosa consiste? Supponiamo di voler investire 100 mila euro in un lazy portfolio molto semplice, che investa il 60% su MSCI World e un 40% sui bond Euro Aggregate.

Nel momento in cui decidiamo di investire acquisteremo 60 mila euro di MSCI World e 40 mila euro di un etf su Euro Aggregate Bond.
Con il tempo il valore di questi strumenti varierà.

Dopo un anno potrebbe succedere che il valore di MSCI World sia a 80 mila euro, mentre l'Euro Aggregate Bond ancora a 40 mila.

In tale situazione, tuttavia, la nostra allocazione non è più 60%/40%, ma 67%/33% (80/120*100=66,67%, per essere precisi).
Il profilo di rischio è quindi cambiato e dovremo vendere un 7% del portafoglio totale da MSCI World per acquistare bond.

Questi aggiustamenti automatici hanno quindi l'effetto di portarci a vendere le asset class che sono salite di più e ad acquistare quelle che sono salite meno... in pratica ci proteggono da valutazioni eccessive e ci mettono in condizione di partecipare ai futuri rialzi delle asset class sottoperformanti.

Chiaramente se un indice sale per svariati anni consecutivi questo ci porterà anche ad avere rendimenti minori che in assenza di ribalanciamento, ma il fine ultimo è quello di tenere sotto controllo il rischio del portafoglio.

Un altro svantaggio del ribilanciamento (dal punto di vista fiscale) è quello di far scattare l'imposizione del fisco. L'asset class venduta genererà una plusvalenza non compensabile (almeno per la parte di delta NAV, ma lo approfondirò in altri post) e farà felice l'Erario.

Per questi 2 motivi è meglio non ribilanciare troppo frequentemente.

Larry Swedroe, autore di The Only Guide to a Winning Investment Strategy You'll Ever Need: The Way Smart Money Preserves Wealth Today, propone quella che per me rimane la miglior "regola" per un ribilanciamento semplice, la regola del 5/25.

Secondo questa regola il ribilanciamento avviene solo nel caso vi sia uno scostamento maggiore del 5% del totale portafoglio o del 25% della singola asset class... provo a spiegare con un esempio.

Riprendiamo il portafoglio di prima con due soli fondi. In questo caso il 25% di scostamento per l'asset class dei bond ammonta al 40%*25%=10% del totale del portafoglio. E' ovvio che non scatterà mai in quanto non appena lo scostamento è maggiore del 5% del valore totale (nel secondo anno 120*5% = 6 mila euro) scatterà il ribilanciamento.

Se però avessimo un lazy portfolio con molti strumenti, di cui magari uno al 5% del totale come nel caso dello Smart Money la regola si applicherebbe così: 5%*25%=1,25%. Quindi a fronte di uno scostamento dell'1,25% del portafoglio per l'asset class presa in esame scatterebbe il ribilanciamento (molto prima della soglia del 5% quindi..).

Italia vs USA

Forse avrete notato che gran parte di quanto vi ho postato è relativo a portafogli USA e a rendimenti USA. Ma questi concetti sono applicabili anche per l'Italia?

Assolutamente sì. L'unica cosa che mi permetterei di evidenziare è il trattamento fiscale: mentre negli USA i fondi sono penalizzati da alcune regole fiscali che comportano una distribuzione periodica dei loro proventi, regole che impattano meno sugli ETF in virtù del limitato turnover, in Italia il vantaggio fiscale è contrario.

I fondi hanno una tassazione meno cervellotica di quella degli ETF (che prevede due livelli di tassazione: delta NAV, in comune con i fondi, e delta prezzi di acquisto) e, soprattutto nel caso di un fondo bilanciato, ho il sospetto che la maggiore efficienza fiscale possa fare la differenza.

Purtroppo mancano studi al riguardo... nel nostro piccolo proveremo a rimediare con una prossima serie di post.

Innanzitutto convertiremo alcuni dei lazy portfolio che ritengo più interessanti al caso italiano (quindi con strumenti acquistabili su Borsa Italiana e che rispettino i concetti alla base dei lazy con strumenti appropriati per l'investitore italico) e al tempo stesso selezioneremo alcuni fondi bilanciati come benchmark.

Proveremo quindi a capire se la bilancia penda più dal lato dei bassi costi e della replica passiva o se invece dal lato della maggiore efficienza fiscale di un fondo bilanciato ben gestito.

Stay tuned.

mercoledì 6 novembre 2013

Proteggersi dall'inflazione: Le altre tipologie di obbligazioni

Siamo arrivati alla quinta puntata della nostra analisi dei vari strumenti esistenti per proteggersi dall'inflazione.

Dopo aver visto i Btpi e gli altri titoli di stato reali, le obbligazioni variabili indicizzate, i buoni postali indicizzati all'inflazione e i BTP Italia è arrivato ora il momento di allargare la nostra analisi a titoli tradizionali non pensati a questo scopo.

Le obbligazioni a tasso fisso

Le obbligazioni a tasso fisso sono uno degli strumenti finanziari più semplici.
Sottoscrivendo una di queste obbligazioni ci garantiremo per la durata restante del prestito una cedola predeterminata una o più volte all'anno.

Supponiamo aver sottoscritto all'emissione una di queste obbligazioni BEI a tasso fisso.
Ci saremmo garantiti dal 2008 fino al 2015 un tasso annuo lordo del 4,25% sul nostro investimento. In questo caso saremmo riusciti a proteggere il nostro portafoglio dall'inflazione anche in assenza di una protezione specifica nei meccanismi del titolo (fino ad oggi).

Ma cosa sarebbe successo se l'inflazione fosse schizzata al 20% nel frattempo? Ci avremmo rimesso...
Non ci vuole un genio per capire questo, mi direte, ma proviamo a spostare il ragionamento sulla durata di queste obbligazioni.

In linea di massima i rendimenti attesi di tutte le obbligazioni paragonabili per scadenza e qualità di credito sono identici. Se non mi credete fate una ricerca su qualsiasi sistema di trading on line e fatemi sapere se trovate scostamenti significativi, vi pago una birra.

Questo cosa significa per noi? Che il rendimento atteso di un'obbligazione a tasso fisso comprata sul mercato contiene al proprio interno quella che è la stima dell'inflazione futura che il mercato ritiene plausibile al momento!
In pratica, se un BTPi ha una componente reale del 2% e un BTP normale di pari scadenza rende il 5% netto il mercato ci dice che si sta attendendo un'inflazione futura del 3%.

Più la durata residua dell'obbligazione si allunga, più sarà difficile per il mercato effettuare una previsione accurata.
Questo significa che in linea di massima non ci dobbiamo attendere rendimenti reali negativi su obbligazioni molto brevi (tranne situazioni specifiche del mercato).

Magari state dubitando e volete vedere qualche numero al riguardo...
Innanzitutto vi consiglio un breve salto sul sito di Fama (recente Nobel) per vedere che ha da dire al riguardo. (se non sapete l'inglese sappiate che dice esattamente le stesse cose che vi ho appena detto)

Per il resto sfrutteremo in parte il lavoro di Mediobanca e di Istat per adattare il ragionamento alla realtà Italiana.

Lo studio di Mediobanca considera un paniere di Titoli di Stato e bond privati a tasso fisso con durata residua superiore ai 2 anni e volumi scambiati annui superiore ai 516 milioni di euro, suddivisi per maturità residua. Esamineremo la fascia tra i 3 e i 5 anni e quella oltre i 7.

Il grafico mostra il confronto tra i rendimenti dei bond nominali a tasso fisso e inflazioni
















Come potete vedere dal 1997 questo tipo di bond è stato in grado di battere l'inflazione. Nel calcolo di Mediobanca non viene considerata la variazione dei prezzi dei titoli.

I titoli superiori a 7 anni mostrano rendimenti maggiori, ma non va dimenticato che quel rendimento ci accompagnerà fino alla scadenza e potrebbe essere soggetto a shock inflazionistici in futuro.

Dal grafico è evidente come i titoli più a breve siano maggiormente correlati con l'inflazione (Rappresentata dal FOI senza tabacchi) mentre come i rendimenti dei titoli più a lungo siano meno correlati con la stessa (come è lecito attendersi).

Le obbligazioni a tasso variabile

Da qualche tempo poi piacciono molto obbligazioni a tasso variabile indicizzate a qualche opportuno target. Le più comuni sono quelle indicizzate all'Euribor, ma ve ne sono di indicizzate ad altri indici, anche azionari.

Ovviamente la capacità di questi titoli di proteggere dall'inflazione dipenderà (supponendo di sottoscriverle all'emissione) dalla correlazione dell'indice sottostante rispetto all'inflazione.

Nel caso dell'Euribor a 6 mesi la correlazione con l'inflazione corrente è bassa (nell'ordine dello 0,27), mentre la correlazione con l'inflazione dei prossimi 12 mesi è praticamente nulla (vicina a 0).

Allego di sotto i due scatter plot costruiti grazie all'ottimo sito di Giorgio Arcidiacono con i dati presi dal data warehouse Eurostat.
Il grafico mostra la scarsa correlazione tra Euribor 6 mesi e inflazione (0,27)
Euribor a 6m vs Inflazione corrente. Sull'asse x i valori dell'Euribor.

Il grafico mostra che tra Euribor a 6 mesi e tasso di inflazione spostato in avanti di 12 mesi non c'è correlazione.
Euribor a 6m vs tasso inflazione yoy con lag di 12 mesi

Conclusione

Per sintetizzare quanto visto sopra si può dire che tra le varie forme di obbligazioni esistenti (ed escludendo quelle specificamente previste per questo scopo) le obbligazioni migliori per proteggersi dall'inflazione sono i titoli a breve a tasso fisso (1-3 anni).

Titoli a tasso fisso a lunga scadenza e titoli legati all'Euribor non sono invece prodotti ottimali in questo senso.

 

mercoledì 25 settembre 2013

Portafoglio All-Markets e rendimenti

Quick post per segnalarvi l'ultimo articolo di Mebane Faber sul suo blog, disponibile a questo indirizzo.

Il post contiene una comparazione tra vari portafoglio pigri (portafogli cioè che si basano su regole predeterminate e non richiedono conoscenze specifiche di finanza) tra cui (novità del post) un portafoglio All-market che contiene tutti gli strumenti possibili pesati secondo la loro capitalizzazione.

Per capirci... supponiamo di avere nel mercato Italiano solo azioni Italia S.p.A e BOT. I bot sono stati sottoscritti per 600 miliardi di euro, mentre le azioni Italia S.p.A valgono 400 miliardi di euro in borsa.

Se abbiamo 10.000 euro li investiremo per 6.000 nei BOT e 4.000 in Italia S.p.A.

Nello stesso post è contenuto anche un confronto con un portafoglio "lite" costituto da un mix di sole tre asset class.

Ebbene, nel periodo tra il 1973 e il 2012 un portafoglio simile ha avuto un rendimento annualizzato di oltre il 9% (oltre il 5% in più dell'inflazione). Non male per un portafoglio che non richiede alcuna conoscenza no?

Confronto BFPI-BTP Settembre-Ottobre 2013

Ritorna il confronto tra Buoni postali indicizzati all'inflazione e Btp, per determinare quale dei due strumenti sia il più conveniente per proteggersi dall'inflazione.

Orizzonte temporale: 3 anni.

Partiamo dalla scadenza di tre anni. Il confronto tra i rendimenti è al netto delle imposte e senza considerare alcuna minusvalenza. I rendimenti sono espressi in termini reali, al netto dell'inflazione.

Abbiamo ipotizzato il confronto tra la serie J39 e il BTP a 3 anni (ISIN IT0004761950) e il BTP Italia in scadenza ad Aprile 2017 (ipotizzandone la vendita a Settembre 2016 alla pari).


Inflazione BFPI BTP 3anni BTP 3anni con reinvestimento BTP Italia BTP Italia con reinvestimento
1,00% 2,95% 2,68% 3,14% 5,12% 5,46%
2,00% 2,60% (0,42%) 0,05% 4,66% 5,10%
2,50% 2,43% (1,99%) (1,52%) 4,41% 4,90%
3,00% 2,26% (3,57%) (3,11%) 4,14% 4,68%
5,00% 1,62% (10,07%) (9,61%) 2,91% 3,66%

La prima colonna mostra un valore ipotetico di inflazione (supposto costante per tutta la durata dell'investimento). La seconda colonna il rendimento reale netto complessivo dell'investimento in BFPI.  Per capire la tabella supponiamo di aver investito 10.000 euro in BFPI. Dopo 3 anni con inflazione al 5% avremo guadagnato in termini reali (ovvero al potere di acquisto di oggi) 162 euro. Il guadagno nominale sarà molto maggiore, ma servirà esclusivamente a compensare la maggiore inflazione avuta.

Ricordiamo che i rendimenti in tabella mostrano i rendimenti complessivi, non annualizzati.

La terza colonna mostra il rendimento netto complessivo di un BTP triennale senza il reinvestimento delle cedole. La quarta il rendimento netto complessivo triennale dello stesso BTP con reinvestimento delle cedole al 3% netto (ipotesi ottimistica).
Rispetto alla valutazione del mese precedente abbiamo aggiunto due colonne di confronto con il BTP Italia, bond che hanno la stessa funzione di protezione dall'inflazione dei buoni postali indicizzati all'inflazione.

Come visto il mese scorso il buono postale è un investimento migliore (dal punto di vista di protezione dell'inflazione) del BTP tradizionale per inflazione pari o superiore al 2%, pur se consideriamo il reinvestimento delle cedole.


Considerando che l'inflazione al 2% è obiettivo BCE e che anche con inflazione all'1% il buono postale è allineato al BTP non si vede perchè bisognerebbe preferire un BTP a un BFPi con questa scadenza.

Il discorso cambia se consideriamo l'ipotesi di acquisto del BTP Italia. Dal punto di vista del rendimento  il BTP Italia è sempre superiore al buono postale. Tuttavia non va dimenticato che i BTP Italia sono esposti al rischio prezzo. Con una duration di 3,156 al momento in cui scrivo questo post un eventuale rialzo dei tassi di interesse di un punto percentuale comporterebbe perdite in conto capitale per circa un 3%. Non è problema solo nel caso si pensi di non aver bisogno di cedere i titoli prima della scadenza.

Orizzonte temporale: 5 anni.

La struttura della tabella di confronto è analoga a quanto visto sopra, quindi non starò a dilungarmi nelle spiegazioni delle singole colonne.


Inflazione BFPI BTP 5anni BTP 5anni con reinvestimento BTPi 5anni BTPi 5anni con reinvestimento
1,00% 5,00% 8,20% 9,47% 8,83% 9,33%
2,00% 4,43% 2,98% 4,26% 8,17% 8,66%
2,50% 4,16% 0,30% 1,58% 7,82% 8,32%
3,00% 3,89% (2,43%) (1,16%) 7,48% 7,97%
5,00% 2,90% (13,91%) (12,63%) 6,01% 6,51%

In questo confronto il BTP a 5 anni scelto è quello contraddistinto dal codice ISIN IT0004361041. Il BTPi scelto è invece l'IT0004890882. Per entrambi i titoli la valorizzazione del prezzo di acquisto è al 18 settembre 2013.

Anche in questo caso si nota come un inflazione del 2% metta il buono postale in condizioni "migliori" rispetto al BTP, anche con il reinvestimento delle cedole al 3% netto. L'inflazione al 2,5% fa vincere ampiamente il buono postale, anche nei confronti dell'ipotesi di reinvestimento. Non si rilevano quindi differenze significative rispetto al mese precedente.

Il vantaggio reale del BTP a 5 anni si avrebbe nel caso di inflazione intorno all'1% per i 5 anni di vita del titolo. Sinceramente ritengo questa ipotesi improbabile, ma se per voi è plausibile dovreste valutare l'investimento nel BTP.

Nel confronto abbiamo incluso come da richiesta di un lettore i BTPi a 5 anni. Come vediamo dal punto di vista dei rendimenti non c'è un paragone. Va ricordato che però il titolo di Stato è soggetto a rischio prezzo, a differenza del buono postale.

Orizzonte temporale 10 anni

In questo caso il titolo scelto è il BTP "tradizionale" IT0004356843. Non vi sono BTPi di una durata appropriata quindi non abbiamo incluso questo strumento.


Inflazione BFPI BTP 10anni BTP 10anni con reinvestimento
1,00% 10,39% 26,43% 32,31%
2,00% 9,33% 15,16% 21,04%
2,50% 8,84% 9,15% 15,03%
3,00% 8,37% 2,87% 8,75%
3,50% 7,94% (3,68%) 2,19%
4,00% 7,52% (10,53%) (4,65%)
5,00% 6,75% (25,12%) (19,24%)


In questo caso fino a un'inflazione del 3% l'acquisto del BTP con reinvestimento delle cedole porta a rendimenti maggiori di quelli del buono postale. Se siete i tipi, invece, che spendono le cedole in regali e cene al ristorante la convenienza si ferma intorno a un inflazione del 2,5%.

Vincitore il BTP? Sì, ma a una condizione: che siate certi di portare l'investimento a scadenza. Nel caso in cui, invece, vi sia un rialzo dei tassi e voi abbiate bisogno di vendere, un titolo con una duration di 7,4 perderebbe circa 3,5 punti percentuali di valore per ogni mezzo punto di aumento dei tassi di interesse! Questo rischio non c'è con il buono postale, ovviamente.

In conclusione...

La domanda che dovete porvi è questa: sono disposto ad assumermi il rischio che il mio investimento possa momentaneamente scendere di valore?

Nel caso la risposta sia affermativa per proteggervi dall'inflazione a 3 e a 5 anni sia il btp Italia che il btpi fanno il loro mestiere, con rendimenti complessivi migliori del buono postale. Questo non deve sorprenderci. Il buono postale è analogo a un titolo di stato che protegge dall'inflazione con in più un'opzione put implicita a 100. Questa opzione deve avere un costo.

Se invece la risposta è negativa meglio i buoni postali. Potete tranquillamente recuperare i vostri soldi in qualsiasi momento come con un conto deposito, ma a differenza di un conto deposito siete protetti anche da inflazioni elevate. Se acquistate un BTP inflazioni oltre il 3% vi mangiano potere di acquisto. A mio parere meglio evitare.

Al prossimo confronto con la serie J40.

mercoledì 11 settembre 2013

Perchè investire in azioni? Il senso dell'investimento azionario

Qual è il senso dell'investimento azionario? Questa è la domanda che si è posto Killerinpensione, uno dei nostri lettori. Proviamo a rispondere.

Cosa sono le azioni.

Il primo passo per capire il senso di questo investimento è partire dall'elemento base. Mi perdonerete se non vi tiro fuori il codice civile, ma mi limiterò a una semplice definizione da uomo comune. Le azioni sono un titolo che ci permette di essere i proprietari di un'azienda, molto semplicemente.
Possedere un'azione ci permette di partecipare ai profitti dell'impresa (se ve ne sono). Ovviamente, essendo i proprietari, ne porteremo anche i rischi. Se l'azienda smettesse di fare profitti e arrivasse alla bancarotta il nostro investimento non avrebbe più alcun valore.

Trarre profitto dalle azioni.

Dunque... abbiamo capito che possedere un'azione è il modo moderno per possedere un'attività (oltre a comprarsela direttamente e per intero, avendo i soldi..). Come si trae profitto da un'attività? Per prima cosa occorre che l'attività abbia successo e che generi utili.
Facciamo finta di aver acquistato il 10% della Rossi Bulloni S.p.A (RB, per gli amici). se la RB genera quest'anno 500 milioni di utili, noi avremo diritto a 50 milioni.

Ma questi milioni ci verranno pagati direttamente sul conto corrente?

Dipende. Il CdA potrebbe decidere di distribuire tutti gli utili come dividendo e in tal caso ci arriverebbero effettivamente sul conto i 50 milioni. Ma potrebbe anche decidere di trattenere gli utili per reinvestirli nell'attività. In quel caso come facciamo a guadagnare? Avremo un incremento del valore contabile delle nostre quote che, però, potremo incassare solo vendendo le nostre quote a un altro soggetto.

Ricapitolando quanto abbiamo visto finora, possiamo riassumere dicendo che le azioni sono dei titoli che ci permettono di essere proprietari di un'azienda e che ci permettono di guadagnare o attraverso la distribuzione degli utili o tramite la cessione delle quote

La quotazione in Borsa


Se la RB S.p.A fosse quotata in Borsa sarebbe molto più pratico effettuare lo scambio con un terzo. Innanzitutto ogni giorno ci sarebbe un prezzo al quale effettuare gli scambi, mentre se l'azienda non fosse quotata dovrei ricorrere a costosi studi di commercialisti e a tecniche di valutazione comunemente accettate.

Si tratta solitamente di multipli di alcuni parametri di bilancio (solitamente gli utili operativi, l’EBITDA) opportunamente corretti per tenere conto del debito della Società.

Che cosa cambia nel caso di titoli quotati in Borsa? Sarei tentato di rispondere “nulla” ma probabilmente mi troverei qualcuno di voi sotto casa con una tanica di benzina.

E’ più corretto metterla in questi termini: non dovrebbe cambiare nulla. Perché il condizionale? Mettiamoci un attimo a pensare. Se posso comprare un’impresa che produce 10 milioni di utili ogni anno a 80 milioni fuori dalla Borsa, a parità di prospettive e di mercati, perché dovrei pagare di più la sua “gemella” quotata? Non c’è alcun motivo razionale.

Purtroppo gli investitori in Borsa non sono esattamente razionali, quindi può succedere che un’azienda che fuori da Piazza Affari sarebbe valutata 80 milioni venga in realtà valutata in una forbice tra i 40 e i 200 milioni in Borsa. Come mai? Beh, qui ci sarebbero veramente migliaia di parole da scrivere, link da fornire e pubblicazioni su pubblicazioni, ma per il momento mi limito alla metafora di Graham in “The Intelligent Investor”.
 
Il motivo è che abbiamo a che fare con un socio molto lunatico, Mr. Market.Mr. Market si alza una mattina e comincia a pensare che nuovi ordini non arriveranno, che i costi aumenteranno e che, tutto sommato, gli utili futuri saranno molto minori di quelli attuali. Quindi è disposto a cederci la sua quota a un prezzo molto scontato. Purtroppo per lui la mattina dopo si alza e la pensa esattamente nella maniera opposta, e ci viene a stressare a qualsiasi ora per ricomprarsi la sua quota a tre o quattro volte il prezzo che gli avevamo pagato in precedenza.

Non ho la pretesa di aver trattato i motivi di fondo delle fluttuazioni degli scambi azionari, ma il messaggio che voglio far passare in questa fase è questo: nel caso di azioni quotate in Borsa una parte della movimentazione è legata ai fondamentali economici dell'impresa una parte è legata alle aspettative e alle emozioni del mercato nel complesso.

Ok... ma perchè azioni e non obbligazioni?

La domanda non è banale come potrebbe sembrare... dopotutto con un'obbligazione sappiamo sempre quanto avremo dopo un certo periodo, mentre con un'azione no. Perchè dovrei prendermi il rischio e l'incertezza?

Proviamo a spostarci verso la teoria economica, ma portando sempre con noi tanto buon senso.
Se io investo in azioni sto diventando un imprenditore. Questo significa che ho rischi maggiori dell'obbligazionista a fronte di guadagni potenziali maggiori.

Ora.. poniamo, per assurdo, che azioni e obbligazioni abbiano esattamente lo stesso rendimento atteso. Perchè, come individuo razionale, dovrei assumermi un rischio maggiore senza avere nessuna contropartita?
Ecco, magari non ci arrivo subito, ma nel tempo comincio a rendermi conto che questo investimento non è conveniente e quindi mi limiterei a prestare i miei soldi per avere interessi, da obbligazionista.

Così facendo, però, nessuno vorrebbe ricoprire il ruolo di imprenditore. E se nessuno vuole ricoprire il ruolo di imprenditore finiremmo in un mondo senza imprese, senza posti di lavoro e, in ultima analisi, con l'economia allo sfascio. E' ovvio che questo scenario non accadrà mai.

Quello che accade nella realtà (semplificando molto) è che nel momento in cui molti offrono denaro sotto forma di prestiti il costo di tali prestiti scenderà e permetterà a qualcuno di finanziarsi a un costo inferiore al ritorno dell'investimento dei capitali in azienda. Questo permette un premio al rischio dell'imprenditore che quindi ha convenienza a tenere in piedi la baracca, finanziarsi da banche e obbligazionisti e creare posti di lavoro e benessere.

E' chiaro che a momenti il rendimento azionario può essere inferiore a quello delle obbligazioni. Ed è altrettanto vero che questo "momento" può durare anche anni.

Ma le azioni rappresentano le imprese e le imprese sono la struttura portante dell'economia. Non è logico pensare che spariscano e, come abbiamo visto, il sistema tende a riequilibrarsi verso un maggiore rendimento per l'imprenditore/azionista.

Iniziate a capire dove voglio arrivare?

Ricapitolando...

  • con le azioni divento proprietario di imprese
  • queste imprese mi fanno guadagnare attraverso i loro utili (sia distribuiti che reinvestiti)
  • posso guadagnare più o meno per effetto delle fluttuazioni dei prezzi di mercato scollegate dai fondamentali economici.
  • ...ma in definitiva il rendimento di un investimento azionario in un periodo lungo deve essere maggiore di quello di un investimento privo di rischio perchè altrimenti cadrebbe a pezzi l'economia.
Il quarto punto che cosa comporta? Che il senso vero di un investimento azionario è quello di ottenere i rendimenti maggiori nel lungo periodo. Nella scelta tra azioni e obbligazioni le azioni sono sempre quelle che nell'arco della nostra vita ci daranno i rendimenti maggiori pur avendo una maggiore fluttuazione dei loro prezzi nel corso del tempo.

Questo significa che un investitore accorto (per tornare a Graham...) dovrebbe sempre avere una quota del proprio patrimonio investito in azioni (sia direttamente, che, preferibilmente, attraverso fondi ed etf) al fine di ottenere i rendimenti maggiori. Altre considerazioni di carattere personale (propensione al rischio e orizzonte temporale, ad esempio) influiranno su quante detenerne effettivamente, ma costruirsi un portafoglio di investimento senza una componente azionaria è come costruirsi una casa senza fondamenta!

martedì 10 settembre 2013

Buoni postali - Uscite le serie di settembre.

Flash post per dirvi che, dopo il buco di agosto, pare stia finalmente arrivando la nuova serie dei buoni postali.

Cliccando sul link allo specchietto di riepilogo della cassa depositi e prestiti il documento restituisce questo:



Se volete potete controllare voi stessi l'eventuale caricamento del nuovo documento facendo clic su questo link.

Aggiornamento: vi segnalo che sono già disponibili i singoli fogli informativi.
I buoni postali indicizzati all'inflazione hanno mantenuto un tasso reale dell'1,25%, come nel caso della J38.
Invariati anche i tassi sugli ordinari.

domenica 28 luglio 2013

Confronto rendimenti BFPI - BTP Luglio-Agosto 2013


Lo scopo di questo post è quello di confrontare il rendimento dei buoni postali attualmente sottoscrivibili (Serie J38) con BTP di varie scadenze al fine di scoprire quale dei due investimenti può essere più conveniente dato un determinato orizzonte temporale.

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Boxe I BTP selezionati sono quelli scadenti ad Agosto 2016, ad Agosto 2018 e ad Agosto 2023.

Orizzonte temporale: 3 anni.

Partiamo dalla scadenza di tre anni. Il confronto tra i rendimenti è al netto delle imposte e senza considerare alcuna minusvalenza. I rendimenti sono espressi in termini reali, al netto dell'inflazione.

Inflazione BFPI BTP 3anni BTP 3anni con reinvestimento
1,00% 2,95% 2,87% 3,24%
2,00% 2,60% (0,24%) 0,13%
2,50% 2,43% (1,81%) (1,44%)
3,00% 2,26% (3,40%) (3,04%)
5,00% 1,62% (9,93%) (9,56%)

La prima colonna mostra un valore ipotetico di inflazione (supposto costante per tutta la durata dell'investimento). La seconda colonna il rendimento reale netto complessivo dell'investimento in BFPI.  Per capire la tabella supponiamo di aver investito 10.000 euro in BFPI. Dopo 3 anni con inflazione al 5% avremo guadagnato in termini reali (ovvero al potere di acquisto di oggi) 162 euro. Il guadagno nominale sarà molto maggiore, ma servirà esclusivamente a compensare la maggiore inflazione avuta.

La terza colonna mostra il rendimento netto complessivo di un BTP triennale senza il reinvestimento delle cedole. La quarta il rendimento netto complessivo triennale dello stesso BTP con reinvestimento delle cedole al 3% netto (ipotesi ottimistica).

Appare subito evidente come, nelle ipotesi considerate, il buono postale "vinca" con inflazione maggiore del 2%. Addirittura con inflazione maggiore del 2% il rendimento del BTP in termini reali è negativo.

Considerando che un inflazione al 2% è obiettivo BCE e che anche con inflazione all'1% il buono postale è allineato al BTP non si vede perchè bisognerebbe preferire un BTP a un BFPi con questa scadenza.

Orizzonte temporale: 5 anni.

La struttura della tabella di confronto è analoga a quanto visto sopra, quindi non starò a dilungarmi nelle spiegazioni delle singole colonne.

5 anni BFPI BTP 5anni BTP 5anni con reinvestimento
1,00% 5,00% 8,60% 9,92%
2,00% 4,43% 3,28% 4,60%
2,50% 4,16% 0,54% 1,86%
3,00% 3,89% (2,26%) (0,93%)
5,00% 2,90% (14,00%) (12,67%)

Anche in questo caso si nota come un inflazione del 2% metta il buono postale in condizioni "migliori" rispetto al BTP, anche con il reinvestimento delle cedole al 3% netto. L'inflazione al 2,5% fa vincere ampiamente il buono postale, anche nei confronti dell'ipotesi di reinvestimento.

Il vantaggio reale del BTP a 5 anni si avrebbe nel caso di inflazione intorno all'1% per i 5 anni di vita del titolo. Sinceramente ritengo questa ipotesi improbabile, ma se per voi è plausibile dovreste valutare l'investimento nel BTP. Anche in questo caso la mia scelta cadrebbe sul buono postale.

Orizzonte temporale 10 anni

Vi rimando al primo paragrafo per la spiegazione delle colonne.

10 anni BFPI BTP 10anni BTP 10anni con reinvestimento
1,00% 10,39% 27,40% 33,29%
2,00% 9,33% 15,94% 21,83%
2,50% 8,84% 9,82% 15,71%
3,00% 8,37% 3,43% 9,31%
3,50% 7,94% (3,26%) 2,63%
4,00% 7,52% (10,24%) (4,35%)
5,00% 6,75% (25,14%) (19,25%)

In questo caso il maggior rendimento del BTP la fa da padrone. Fino a un'inflazione del 3% l'acquisto del BTP con reinvestimento delle cedole porta a rendimenti maggiori di quelli del buono postale.
Se siete i tipi, invece, che spendono le cedole in regali e cene al ristorante la convenzienza si ferma intorno a un inflazione del 2,5%.

Vincitore il BTP? Sì, ma a una condizione: che siate certi di portare l'investimento a scadenza. Nel caso in cui, invece, vi sia un rialzo dei tassi e voi abbiate bisogno di vendere, un titolo con una duration di 7,87 perderebbe circa 4 punti percentuali di valore per ogni mezzo punto di aumento dei tassi di interesse! Questo rischio non c'è con il buono postale, ovviamente.

In conclusione...

Orizzonte 3 anni: meglio i bfpi.
Orizzonte 5 anni: meglio i bfpi.
Orizzonte 10 anni: meglio i btp (se non avrete necessità di smobilizzo)

Prossimo confronto in arrivo con la serie J39.
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